Mafia, sette anni a Dell’utri
Per i magistrati fu mediatore tra Berlusconi e Cosa nostra - L’ex senatore: «Inventato un romanzo criminale» Condanna confermata in appello, la procura generale chiede l’arresto
L’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri è colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa e deve essere subito arrestato perché c’è il pericolo che possa scappare. Tutto si è consumato nel volgere di un’ora in un pomeriggio da bufera in una città che si aspettava la primavera. E in fondo la bufera si è abbattuta su Dell’Utri. È andata così: intorno alle 18 nei locali dell’aula bunker di Pagliarelli, a Palermo, la terza sezione della Corte d’appello presieduta da Raimondo Lo Forti ha pronunciato la sentenza con cui si condannava a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa l’ex senatore. Accolta in pieno la richiesta fatta dal sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio che nella requisitoria aveva sostenuto la colpevolezza dell’ex senatore e aveva chiesto la condanna a sette anni di carcere perché, aveva detto il pg, «Dell’Utri, permettendo a Cosa nostra di agganciare Silvio Berlusconi, ha permesso alla mafia di rafforzarsi economicamente, di ampliare i suoi interessi, il suo raggio d’azione, di tentare di condizionare scelte politiche governative in relazione al successivo ruolo politico assunto da Berlusconi. Condotta perpetrata dall’imputato coscientemente, conoscendo e condividendo il metodo mafioso dell’organizzazione, perseguendo il fine personale del rafforzamento della sua posizione all’interno delle varie aziende e iniziative di Silvio Berlusconi». E stato lo stesso Patronaggio, a chiedere l’arresto dell’ex senatore: «È stata riconosciuta la colpevolezza dell’imputato per le accuse che gli sono state contestate fino al 1992 – aveva detto –. Ci riteniamo soddisfatti e pensiamo che sia stata fatta giustizia».
Tutto il quadro che era stato disegnato nel tardo pomeriggio ha assunto altri toni e altri colori in serata perché la richiesta d’arresto ha congelato anche la speranza di Dell’Utri e dei suoi legali che intanto il ricorso in Cassazione potesse far slittare ancora un po’ e forse addirittura di un anno la resa dei conti finale, che l’ultimo capitolo di quello che l’ex senatore ha definito il «personale romanzo criminale» potesse essere rinviato ancora un po’ in una storia che va avanti da quasi 19 anni e che magari la storia potesse avere un finale diverso con la prescrizione per l’ex senatore. È andata diversamente.
La corte era stata chiamata a pronunciarsi nuovamente dalla Cassazione che aveva rimandato a Palermo una parte della sentenza che aveva già condannato in appello l’ex senatore a sette anni: la quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Aldo Grassi, che si è pronunciata il 9 marzo dell’anno scorso, ha poi spiegato nelle motivazioni (rese pubbliche il 24 aprile) che risulta «probatoriamente dimostrato» il comportamento di Dell’Utri «di rafforzamento dell’associazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa nostra di somme non dovute da parte di Fininvest. Ma va dimostrata l’accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasciò Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982». Ed è su questo aspetto che è stato disposto un nuovo giudizio ed è su questo punto che i giudici hanno riconosciuto la colpevolezza dell’ex senatore considerato ormai come dato certo il ruolo di mediatore di Dell’Utri tra Cosa nostra e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi. Nel verdetto di ieri la Corte fa riferimento alla sentenza del tribunale che aveva condannato l’imputato in primo grado a 9 anni: nelle motivazioni di quella sentenza si dice che «vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso di dibattimento il processo penale».