I fondi sulla scia del private equity
Allo studio investimenti in non quotate
Il modello del private equity entrerà nei fondi comuni aperti italiani. Intervenuto alla conferenza stampa di presentazione del memorandum per incentivare lo sbarco in borsa delle Pmi, l’ad di Azimut Pietro Giuliani ha presentato un possibile sviluppo nel business model di cui il suo gruppo sta esaminando la fattibilità proprio in queste settimane. «Ciò che stiamo studiando – ha spiegato – è la possibilità di investire una quota del portafoglio dei fondi, intorno al 5-10 per cento, negli strumenti di capitale e di debito delle delle Pmi. C’è un premio per l’illiquidità di quegli asset che può essere estratto a vantaggio dei nostri sottoscrittori e senza pregiudizio per la normale gestione delle casse».
I gestori, in pratica accompagnerebbero le Pmi nel loro sentiero di crescita fino al debutto in Borsa momento nel quale dismetterebbero il loro investimento, monetizzando i loro quadagni.
In pratica i fondi comuni aperti – normalmente investono le loro attività i titoli liquidi di grandi aziende – competerebbero direttamente con i fondi chiusi di private equity attraverso una porzione ridotta del loro patrimonio con l’obietttivo di accrescerne le performance. Attualmente le casse d’investimento possono destinare fino al 10% del loro portafoglio in asset non quotati ma assai pochi lo fanno, considerandola un’attività estranea al proprio modello di business. Peraltro anche le facilitazioni fiscali introdotte in passato per chi investe nelle Pmi non hanno finora sortito effetti significativi.
Fin qui le proposte di Azimut. Il memorandum sottoscritto ieri, per la verità, indica una più ampia tastiera di possibili interventi da parte dell’industria del risparmio gestito. Si va dall’ipotesi di proporre ad una platea di fondazioni, assicurazioni, investitori previdenziali e banche del territorio un fondo di fondi specializzati nell’investimento in Pmi, quotate o quotande, o alla creazione di casse investimento ad hoc «anche riservate a investitori istituzionali».
Quest’ultime dovrebbero dovrebbero avere un obiettivo di raccolta di almeno 50 milioni di euro, essere attive in società di piccole o medie dimensioni quotate o quotande su un mercato regolamentato (o su un sistema multilaterale di negoziazione) ed es- sere abilitate al superamento del limite del 5% previsto per i fondi armonizzati nell’investimento di titoli di un solo emittente.
Nel caso le casse siano riservate a investitori istituzionali dopo un periodo iniziale di tre anni dovrebbe essere comunque prevista l’apertura a investitori al dettaglio. Le modalità possono essere differenti ma l’obiettivo – ha sottolineato il presidente di Assogestioni, Domenico Siniscalco che proprio oggi dovrebbe essere riconfermato alla guida dell’associazione – rimane lo stesso. «Dare slancio alle piccole e medie imprese che oggi si dibattono tra due rischi, il bisogno di capitale e le ristrettezze nel credito».