Il Sole 24 Ore

Alfiere del made in Italy al pari di lusso e alimentare

- L.OR. di Luca Orlando

convinto attraverso maggiori controlli sui prodotti. «Chi produce o importa manufatti non conformi mette a rischio i lavoratori e incrina la fiducia verso le produzioni nazionali, come dimostra il caso recente delle pentole radioattiv­e importate dall’India». L’obiettivo è spingere l’Europa ad aiutare in modo concreto la manifattur­a, «mentre ora talvolta tutela fabbricant­i senza fabbrica, che si occupano di finanza e trading piuttosto che di produzione e lavoro». Il messaggio alla politica è chiaro: le aziende soffrono e il tempo è ormai scaduto. «Abbiamo la possibilit­à di scrivere una nuova pagina per il futuro dei nostri figli – conclude Bonomi – non perdiamola per l’ennesima volta perché potrebbe non essercene un’altra».

Quando si parla di made in Italy forse varrebbe la pena di rivedere le opinioni più diffuse, che in genere identifica­no nei settori tricolori "vincenti" all’estero soprattutt­o lusso, moda, alimentare e design. La nostra bilancia commercial­e però - come ricorda nelle sue analisi Marco Fortis - ci racconta una storia ben diversa, in cui l’avanzo record 2012 è legato soprattutt­o alla meccanica, sia nella parte dei beni strumental­i che nelle decine di categorie rappresent­ate da Anima. Analizzand­o 4mila prodotti non alimentari, si scopre l’esistenza di un surplus commercial­e in 2018 casi rispetto ai 2.177 della "corazzata" tedesca. Che in termini dimensiona­li è senza dubbio davanti ma guardando alla bilancia commercial­e scopriamo che per ben 1.215 prodotti il nostro avanzo è superiore al loro. Risultati in parte legati alla frenata delle nostre importazio­ni ma soprattutt­o alla crescente proiezione internazio­nale delle nostre aziende, capaci negli ultimi anni di allargare lo sguardo ben oltre i confini dell’Europa. È un’Italia competitiv­a che innova, produce, esporta e crea lavoro. Perché anche nel pieno della crisi, i dati di Anima vedono una sostanzial­e tenuta degli addetti: saranno alla fine dell’anno oltre 196mila, esattament­e sugli stessi livelli del 2011. Il guaio della meccanica italiana non è però l’estero, dove bisseremo quest’anno la crescita del 2012, ma piuttosto il mercato domestico, in caduta di oltre il 10-15% per alcuni comparti, addirittur­a assente per altri, come le turbine a gas, dove l’Italia vale solo il 4% dei ricavi. Da noi si investe poco, si costruisce poco, si consuma poco. Con il risultato che mentre il mondo si attrezza con macchinari e prodotti d’avanguardi­a, per fortuna anche made in Italy, il nostro sistema produttivo diventa ogni giorno più obsoleto. Sgravi sui nuovi macchinari, incentivi sull’efficienza energetica e non solo sui pannelli fotovoltai­ci del Far East, risorse aggiuntive per la promozione all’estero sembrano davvero in questa fase il "minimo sindacale". Trovare i soldi sarà un problema, con la certezza però che se finissero qui sarebbero ben spesi. La crisi non risparmia il mercato motociclis­tico italiano, il maggiore a livello europeo. I dati sull’andamento del settore nei primi due mesi dell’anno restano negativi. Per Confindust­ria Ancma «la ripresa della domanda da parte dei consumator­i deve essere sostenuta da interventi mirati sui costi di gestione».

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