Alfiere del made in Italy al pari di lusso e alimentare
convinto attraverso maggiori controlli sui prodotti. «Chi produce o importa manufatti non conformi mette a rischio i lavoratori e incrina la fiducia verso le produzioni nazionali, come dimostra il caso recente delle pentole radioattive importate dall’India». L’obiettivo è spingere l’Europa ad aiutare in modo concreto la manifattura, «mentre ora talvolta tutela fabbricanti senza fabbrica, che si occupano di finanza e trading piuttosto che di produzione e lavoro». Il messaggio alla politica è chiaro: le aziende soffrono e il tempo è ormai scaduto. «Abbiamo la possibilità di scrivere una nuova pagina per il futuro dei nostri figli – conclude Bonomi – non perdiamola per l’ennesima volta perché potrebbe non essercene un’altra».
Quando si parla di made in Italy forse varrebbe la pena di rivedere le opinioni più diffuse, che in genere identificano nei settori tricolori "vincenti" all’estero soprattutto lusso, moda, alimentare e design. La nostra bilancia commerciale però - come ricorda nelle sue analisi Marco Fortis - ci racconta una storia ben diversa, in cui l’avanzo record 2012 è legato soprattutto alla meccanica, sia nella parte dei beni strumentali che nelle decine di categorie rappresentate da Anima. Analizzando 4mila prodotti non alimentari, si scopre l’esistenza di un surplus commerciale in 2018 casi rispetto ai 2.177 della "corazzata" tedesca. Che in termini dimensionali è senza dubbio davanti ma guardando alla bilancia commerciale scopriamo che per ben 1.215 prodotti il nostro avanzo è superiore al loro. Risultati in parte legati alla frenata delle nostre importazioni ma soprattutto alla crescente proiezione internazionale delle nostre aziende, capaci negli ultimi anni di allargare lo sguardo ben oltre i confini dell’Europa. È un’Italia competitiva che innova, produce, esporta e crea lavoro. Perché anche nel pieno della crisi, i dati di Anima vedono una sostanziale tenuta degli addetti: saranno alla fine dell’anno oltre 196mila, esattamente sugli stessi livelli del 2011. Il guaio della meccanica italiana non è però l’estero, dove bisseremo quest’anno la crescita del 2012, ma piuttosto il mercato domestico, in caduta di oltre il 10-15% per alcuni comparti, addirittura assente per altri, come le turbine a gas, dove l’Italia vale solo il 4% dei ricavi. Da noi si investe poco, si costruisce poco, si consuma poco. Con il risultato che mentre il mondo si attrezza con macchinari e prodotti d’avanguardia, per fortuna anche made in Italy, il nostro sistema produttivo diventa ogni giorno più obsoleto. Sgravi sui nuovi macchinari, incentivi sull’efficienza energetica e non solo sui pannelli fotovoltaici del Far East, risorse aggiuntive per la promozione all’estero sembrano davvero in questa fase il "minimo sindacale". Trovare i soldi sarà un problema, con la certezza però che se finissero qui sarebbero ben spesi. La crisi non risparmia il mercato motociclistico italiano, il maggiore a livello europeo. I dati sull’andamento del settore nei primi due mesi dell’anno restano negativi. Per Confindustria Ancma «la ripresa della domanda da parte dei consumatori deve essere sostenuta da interventi mirati sui costi di gestione».