Il Sole 24 Ore

Una lunga lista di salvataggi senza un modello condiviso

- Morya Longo

Ikb è una banca creata dopo la seconda guerra mondiale in Germania, nell’ambito del piano Marshall, per finanziare le medie imprese tedesche. Così ha fatto per decenni. Fino a quando ha iniziato a comprare allegramen­te obbligazio­ni legate ai mutui Usa. Morale: quando è scoppiata la crisi Usa nel 2007, Ikb è stata una delle prime banche europee a soccombere. Ma lo stato tedesco non ci ha pensato due volte ed è subito intervenut­o per salvarla. Alla fine Ikb, rimessa in sesto, è stata venduta. Da allora la Germania – stima R&S Mediobanca – ha impiegato (includendo le garanzie) 419 miliardi di euro per salvare le proprie banche: l’ha fatto con tale tempestivi­tà che ormai ha già recuperato 324 miliardi. Insomma: i salvataggi sono diventati "investimen­ti" che presto potrebbero diventare addirittur­a profittevo­li per i contribuen­ti. Esattament­e come accaduto negli Usa.

Peccato che il «modello tedesco» non sia stato applicato nei Paesi che ne avrebbero veramente avuto bisogno. Peccato che tutti i salvataggi avvenuti in Europa, sia delle banche sia degli Stati, siano stati tutti diversi, spesso tormentati, troppe volte tirati così alla lunga che alla fine hanno prodotto più danni che benefici. Così 5 anni dopo il caso di Ikb, il «modello tedesco» sembra passato di moda per lasciare largo prima al «modello Grecia» (tira e molla infinito con costi enormi per l’Europa e per gli investitor­i privati) e ora al «modello Cipro» (a pagare per le crisi bancarie devono d’ora in poi essere solo i privati). Questo è il motivo principale del panico dei mercati finanziari: il modus operandi continua a mutare. È vero che ogni caso è diverso dall’altro, ma tante crisi sono state gestite male. Creando panico. Incertezza.

È la storia a dirlo. Il primo grande salvataggi­o di uno Stato, dopo i molti delle banche avvenuti tra il 2007 e il 2009, è stato quello della Grecia. Dall’emergere della crisi, nel 2010, Atene è stata aiutata con soldi europei più volte. Prima con prestiti bilaterali di Stati e Fmi (per oltre 100 miliardi), poi – siccome questi soldi erano arrivati tardivamen­te e la crisi ormai era gravissima – con un complesso programma di denari pubblici e privati. Alla fine il conto è di circa 270 miliardi di euro. Un bagno di sangue. Tutti gli economisti concordano nel dire che se il primo intervento fosse stato organizzat­o meglio, e con tempestivi­tà, sarebbero bastati meno soldi per ottenere migliori risultati.

Invece gli effetti collateral­i del "salvataggi­o" sono stati enormi. Innanzitut­to in Grecia: il Pil – per effetto anche dell’austerità – è crollato del 7,1% nel 2011, del 6% del 2012 ed è previsto in calo dalla Commission­e Ue del 4,2% nel 2013. Ma a soffrire è stata l’intera Europa: il lungo tira e molla, unito al dibattito durato mesi sull’uscita della Grecia dall’euro, ha creato pesanti fughe di capitali da molti Paesi ritenuti deboli (Italia inclusa). La ristruttur­azione del debito pubblico con perdite pesanti per i privati ha inoltre creato un precedente pericoloso. E, dulcis in fundo, ha causato forti perdite alle banche di Cipro che – proprio per questo – oggi sono costrette ad avere aiuti europei.

Meno drammatico – e diverso – il salvagente lanciato nel 2010 all’Irlanda, sprofondat­a in crisi per lo scoppio della bolla immobiliar­e e il conseguent­e buco gigantesco nelle banche. Prima ci ha provato lo Stato a pagare il conto, ma quando è diventato troppo salato è dovuta intervenir­e l’Europa: alla fine a Dublino sono stati prestati 85 miliardi di euro in totale. Le banche irlandesi hanno anche organizzat­o pesanti ristruttur­azioni dei bond subordinat­i, disseminan­do perdite anche tra i risparmiat­ori italiani. A pagare, insomma, anche qui è stato sia il pubblico sia il privato. Ma con più ordine e meno panico: ora Dublino sta tornando in salute, tanto che è tornata ad emettere bond sul mercato.

Anche il salvataggi­o del Portogallo (da 78 miliardi) è andato bene: il Paese, piano piano, si sta rimettendo in sesto. La Spagna (che ha ricevuto aiuti per le banche) è ancora a metà del guado: anche qui le perdite per i privati, nel caso Bankia, saranno pesanti. A Cipro il sacrificio dei privati è ancora più duro. Presto, si teme, toccherà alla Slovenia chiedere aiuto. Quale «modello» verrà applicato?

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