Se l’europa sbaglia tutto
Le
due vicende nulla hanno in comune se non il minimo denominatore europeo che, in teoria, dovrebbe rappresentare la variabile virtuosa di equazioni nazionali complesse e incerte. Nel primo caso con il salvataggio di un settore bancario al tracollo. Nel secondo con un salvataggio economico attraverso l’iniezione di liquidità (dovuta) a imprese italiane che barcollano in asfissia finanziaria e in grave recessione: nel 2013 al terzo anno consecutivo, con un altro meno 1% secondo le stime Fmi pubblicate ieri.
Invece di aiutare, l’Europa affossa e si affossa in un disastroso crescendo di decisioni confuse (o sbagliate), di annunci contraddittori poi rimangiati, di smentite fumose, di opacità dilagante. Trionfo dell’incompetenza al potere, dell’improvvisazione diffu- sa, di una comunicazione inadeguata e maldestra eletta a veicolo di un pensiero che si vorrebbe unico ma sempre più si dissolve nel contatto con la realtà, che brutalmente lo contraddice? Sì e no. Quando a Cipro prima decide di tassare tutti i depositi bancari senza eccezioni, compresi quelli sotto i 100mila euro assicurati dalla garanzia Ue, e poi fa marcia indietro confiscando comunque fino al 40% dei patrimoni dei maggiori correntisti, chiamati a co-finanziare la ristrutturazione delle banche. Quando il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, prima dice che Cipro è e poi si corregge affermando che no, «Cipro è un caso speciale» come da mantra ufficiale. Quando Bruxelles una settimana fa, con una dichiarazione scritta e congiunta dei commissari Tajani e Rehn, indica finalmente la via per sbloccare i 70 miliardi di crediti delle imprese italiane ma poi ieri ci ripensa e dubita, quindi di nuovo entra in campo per dire che in realtà niente è cambiato rispetto a quella dichiarazione.
Sarebbe questa la nuova governance rafforzata dell’euro, il rilancio della sua coesione e credibilità? Solo quando di mezzo c’è il rigore nei conti pubblici il messaggio riesce a essere univoco. Altrimenti diventa ondivago, equivoco: tanto se comunque qualcuno deve pagare, se paga un po’ di più in fondo che differenza fa? Purtroppo non è una caricatura ma una parte sostanziosa di tutta la storia di un quinquennio di crisi dell’euro. Storia di una ritirata silenziosa ma metodica dallo spirito europeistico e dal senso di equilibrio. Per fare cosa sarà tutto da vedere: per ora forse non lo sa neanche la Germania della Merkel che sa solo di voler vincere le prossime elezioni. Intanto con il rifiuto di dare a Cipro più di 10 miliardi di aiuti, una cifra obiettivamente modestissima, si sono bruciati oltre 100 miliardi di capitalizzazione delle Borse europee. Non basta. Si è scherzato con il fuoco del risparmio europeo ponendo le basi di una sfiducia e di una fuga di capitali dall’Europa che alla lunga potrebbero dissanguarla. Si sono aperte nuove strade per scaricare sulle spalle dei privati, azionisti, obbligazionisti o risparmiatori che siano, i costi del finanziamento dei salvataggi bancari cancellando di fatto l’opzione della ricapitalizzazione diretta da parte del Fondo salva-Stati (Esm), proprio come da sempre voleva la Germania con i suoi alleati del Nord, sempre più allergici alle soluzioni europee. Davvero oggi ha ancora un senso parlare seriamente di unione bancaria, di fondo di risoluzione, di garanzia comune sui depositi? L’inventario dei danni provocati dalla vicenda cipriota è tutto fare: sarà pesantissimo. Psicologicamente l’Unione ne esce a pezzi. A Nicosia, gridando slogan anti-europei, tremila studenti ieri sono scesi in strada chiamati da Facebook. Di questo passo l’Europa rischia la sua piazza Tahir.