Sui marò un corto circuito che impone di restituire un Governo al Paese
Una giornata terribile per il governo tecnico dimissionario e in particolare per il presidente del Consiglio. Senza dubbio il premier si augurava un epilogo diverso per il suo esecutivo, consapevole che si tratta certo degli ultimi giorni o delle ultime settimane del suo mandato. Quale che sia l’esito del tentativo di cui continua a essere protagonista Bersani.
Peraltro, l’irritazione - ed è un eufemismo - del presidente della Repubblica per l’intera gestione della vicenda e per queste dimissioni repentine di cui non era stato avvertito, indicano che la misura è quasi colma. Per quanto tempo l’Italia potrà andare avanti in tali condizioni? Da un lato un presidente pre-in- caricato che sembra ancora al punto di partenza e che tornerà al Quirinale prima di Pasqua senza poter dimostrare - salvo colpi di scena - di avere in mano i numeri o gli scenari che potrebbero garantirgli la maggioranza.
Dall’altro lato, un governo uscente che non riesce più a tenere la scena e perde i pezzi nel modo più inglorioso. Terzi ha compiuto un gesto del tutto irrituale, il cui effetto è di rovesciare tutte le contraddizioni sul premier, obbligandolo a presentarsi oggi alle Camere per riferire in prima persona circa una vicenda i cui lati oscuri non sono pochi e richiedono di essere rischiarati una volta per tutte. Una vicenda di cui il meno che si possa dire è che è stata sottovalutata e in ogni caso mai affrontata per quello che è, os- sia una grave ferita all’onore dell’Italia e al suo prestigio nel mondo.
Si è detto che siamo di fronte a un piccolo 8 settembre della diplomazia italiana. Può darsi, ma la mossa improvvisa e certo emotiva del ministro degli Esteri rovescia su altri, e in particolare sul premier, il dovere di spiegare il come e il perché di questa disfatta. Non è più l’8 settembre della Farnesina, ma di un intero governo di impronta tecnocratica che non ha saputo o non ha voluto dipanare la matassa con la necessaria sapienza politica. Ne deriva un ulteriore fattore di debolezza e di instabilità per un paese che non riesce a uscire dalle sue incertezze politico-istituzionali. Come gli affanni di Bersani dimostrano chiaramente.
Per la verità, il presidente pre-incaricato ostenta nelle ultime ore un certo ottimismo. Parla quasi come se avesse in tasca la soluzione del rebus e si prepara a farla conoscere al capo dello Stato («giovedì o venerdì, ora più ora meno»). Quali siano i fatti nuovi emersi nelle ultime ore non si sa, visto che i colloqui di ieri non sono andati bene: né quello con il Pdl né quello con Scelta Civica. Anche sul cosiddetto «cerchio istituzionale» destinato ad affrontare in Parlamento le riforme con un atteggiamento costruttivo da parte di un ampio arco di forze (Pdl, Pd, montiani, gli stessi "stellati"), ci sono solo vaghi affidamenti. Niente al momento su cui si possa edificare qualcosa di concreto.
Questo è il palcoscenico su cui Bersani si gioca le ultime carte. Il Partito Democratico sta sicuramente vivendo i giorni di maggiore "stress" dalla sua nascita. E in fondo il presidente pre-incaricato sta chiedendo aiuto al capo dello Stato. Ma quale aiuto? Anche la vicenda dei marò, per non parlare della situazione sui mercati finanziari, dimostra che la missione di dare all’Italia in tempi brevissimi un governo efficiente è ineludibile. Bersani per ora non sembra avere le carte per formare un simile esecutivo. A meno di un miracolo: una resurrezione pasquale.