Quella partita sleale di una media potenza con tante ambizioni
Ci sono voluti più di 13 mesi, ma alla fine la prima poltrona è saltata. Eppure la vicenda dei due marò accusati dell’omicidio di due pescatori indiani non è mai stata avara né di errori, né di brutte figure. Tutto inizia il 15 febbraio del 2012, quando la petroliera italiana Enrica Lexie si trova in navigazione da Singapore verso l’Egitto attraverso l’Oceano Indiano. A bordo, oltre all’equipaggio, ci sono i membri di un Nucleo Militare di Protezione. Si tratta di una squadra di marò del Reggimento San Marco imbarcati per difendere il mercantile dalla minaccia dei pirati che infestano le acque al largo della Somalia.
Mentre la Enrica Lexie si trova a poco più di 20 miglia nautiche dalla costa del Kerala, fuori dalle acque territoriali indiane internazionalmentericonosciute, avviene l’incidente. Un pescherecciosi avvicinaalla petroliera, gli avvertimenti che i militari italiani dicono diaver lanciato non vengono compresi e sulla piccola imbarcazione piovono una ventina di proiettili. Due pescatori muoiono. Una volta raccolta la denuncia dei superstiti, la Guardia costiera indiana individua nella Lexie la responsabile dell’accaduto. Lanaveviene invitata a entrare nel porto di Kochiperchél’equipaggio forniscadei chiarimentie, conunadecisione destinata a innescare la catena di avvenimenti cheancora oggi non ha smesso di regalare colpi di scena, il comandante dell’imbarcazione acconsente.
In quelle ore al ministero della Difesa o non si comprende la portata di quello che sta accadendo o c’è l’incapacità di far prevalere la ragion di Stato sugli interessi particolari dell’armatore. Forse tutte queste cose assieme. Il risultato è una mossa commercialmente saggia e politicamente disastrosa. Il docile ingresso in porto tutela gli interessi di un armatore che in questo modo non incrina i proprirapporti conle autorità indiane, madà agli indiani un vantaggio politico e negoziale pressoché incolmabile sulle autorità italiane in quella che nel giro di tre giorni si trasforma in un’indagine per omicidio.
A questo punto solo un buon lavoro diplomatico potrebbe districare la matassa, ma di nuovo qualcosanon funziona. Alla Farnesina non sembrano rendersi conto di trovarsi di fronte al più complicato degli interlocutori possibili: una media potenza, dalle grandi ambizioni e dalle ancora più ingombranti insicurezze post-coloniali. La ricetta perfetta perché da parte indiana scaturisca un atteggiamento non solo burocraticamente sfiancante, ma anche politicamente arrogante. Una miscela resa ancora più tossica da un climamediaticovenatodi unabuonadosedi isteria edaunceto politico a cui non sembra vero di poter prendere le difese, con un’operazione a costo zero e dai ritorni assicurati, dell’aam aadmi, l’onnipresente "uomocomune" della retorica politica subcontinentale.
«A quel punto la prima cosa da fare era agire in sede Onu», spiegava qualche giorno fa una fonte diplomatica al Sole 24 Ore. New Delhi punta da anni a conquistare un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza e se dal Palazzo di vetro fosse venuto un richiamo sia al rispetto del ruolo italiano nel contrasto alla pirateria che all’immunità funzionale dei due militari italiani forse qualcosasi sarebbe mosso.
Invece la strada scelta èdasubito quella della trattativa, comese la pazienza non fosse uno, mail, prerequisito indispensabile per trattare con New Delhi. Quelli che seguono sono mesi di attese e rinvii, durante i quali alti diplomatici italiani vengono ricevuti da funzionari di seconda fila del ministero degli Esteri indiano e la competenza passa dagli scalcinati tribunali del Kerala alle auguste stanze della Corte Suprema per arrivarea unforocreato appositamente per districare una matassa legale sempre più ingarbugliata e politicamente delicata.
Fino all’improvviso irrigidimento italiano di due settimane fa, con la decisione di non fare tornare i marò in India, ela tragicomica marcia indietro successiva. Aggravata, se possibile, dal fatto di essere stata presa dopo che New Delhi si era messa platealmente dalla parte del torto, annunciandodinonvolerrispettare la Convenzione di Vienna sulla immunità diplomatica. Non c’è che dire: era fatale che iniziassero a rotolare delle teste.