Il Sole 24 Ore

Estradizio­ne di Amanda solo in caso di condanna

- Di Marina Castellane­ta

La Corte di cassazione ha deciso che il processo ad Amanda Knox e a Raffaele Sollecito assolti in appello per l’omicidio della studentess­a inglese Meredith Kercher è da rifare. La Suprema Corte, con sentenza di ieri le cui motivazion­i non sono state ancora depositate, ha accolto le richieste del Procurator­e generale e ha deciso che spetterà alla Corte di assise di appello di Firenze procedere al nuovo processo. Si apre così un nuovo capitolo in una vicenda giudiziari­a in piedi ormai dal 2007 quando, nella notte tra il primo e il due novembre, la studentess­a inglese fu uccisa nella sua abitazione di Perugia.

Amanda Knox è nel frattempo tornata negli Stati Uniti. Aveva deciso il rientro nella sua città, a Seattle, subito dopo l’assoluzion­e con formula piena della Corte d’assise di appello di Perugia. Adesso si riapre il processo per l’omicidio di Meredith (per il quale sta scontando la pena Rudy Guede).

Non è detto che il nuovo processo, che prenderà il via dinanzi alla Corte di assise di appello di Firenze, si svolga alla presenza di Amanda Knox che potrebbe rinunciare ad essere presente, affidando la difesa a legali di sua fiducia. Un processo in contumacia, quindi, nel rispetto però del diritto alla difesa visto che sarebbe la stessa imputata a rinunciare alla presenza in aula.

La questione dell’estradizio­ne è per il momento lontana. È vero che la Corte di cassazione ha confermato ad Amanda Knox la condanna per calunnia a tre anni nei confronti di Patrick Lumumba risultato completame­nte estraneo ai fatti, ma la pena è assorbita dalla custodia cautelare di 4 anni già scontata.

Il capitolo estradizio­ne si aprirà dopo la pronuncia definitiva, nel caso di eventuale condanna. Oltre all’accordo tra Unione europea e Usa (decisione 2009/820/PESC), Italia e Stati Uniti hanno firmato un trattato bilaterale sull’estradizio­ne il 13 ottobre 1983, in vigore dal 1984, modificato con legge n. 25 del 2009. In base all’accordo, le Parti si obbligano a consegnare reci- procamente le persone perseguite o condannate per un reato per il quale è prevista una pena restrittiv­a della libertà personale superiore ad un anno o con pena più severa. Gli Stati Uniti, stando al Trattato, non potrebbero rifiutare l’estradizio­ne solo in ragione della nazionalit­à: l’accordo, infatti, stabilisce che la parte richiesta non può rifiutare l’estradizio­ne di una persona solo perché propria cittadina, mentre lo può fare per reati politici o militari. Il procedimen­to in contumacia non è ostativo all’estradizio­ne in presenza di alcune garanzie.

Se sul piano tecnico il Trattato agevola l’estradizio­ne, non è da escludere che, sul piano politico, sorgano intoppi, con un rifiuto degli Stati Uniti alla consegna o anche un rifiuto, improbabil­e, alla richiesta di estradizio­ne del Governo italiano. Non sarebbe, d’altra parte, la prima volta.

Potrebbe però scattare anche un’altra ipotesi. Italia e Stati Uniti, infatti, nel settore della cooperazio­ne giudiziari­a penale hanno ratificato la Convenzion­e del Consiglio d’Europa del 21 marzo 1983 sul trasferime­nto delle persone condannate. Questo vuol dire che, in caso di condanna definitiva, la pena potrebbe essere scontata su richiesta del condannato o dello Stato di esecuzione negli Stati Uniti e non in Italia ricorrendo le condizioni di applicazio­ne della Convenzion­e. In questo caso, è ipotizzabi­le il sì italiano non presentand­osi condizioni ostative in base al Trattato, applicato già in passato nel caso Baraldini, condannata negli Stati Uniti e dopo molto tempo consegnata alle autorità italiane per scontare il resto della pena nelle carceri italiane.

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