Il Sole 24 Ore

Passera rassicura Tajani: «Blindati i tempi per la Pa»

- Marzio Bartoloni

In Italia non c’è nessun rischio che la Pa svicoli dall’obbligo, entrato in vigore lo scorso 1 gennaio, di pagare i propri fornitori entro 30 giorni. La possibilit­à di allungare i tempi a 60 giorni in alcuni casi è e resterà una eccezione. A rassicurar­e il vicepresid­ente della Commission­e Ue, Antonio Tajani – che in due lettere, una a dicembre l’altra a metà marzo, chiedeva chiariment­i – è il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, che ieri ha risposto su questo e altri punti relativi al recepiment­o (con il Dlgs 192/2012) della direttiva Ue sui tempi di pagamento. Punti per i quali lo stesso Tajani chiedeva correzioni al decreto 192.

Passera ha fornito in una lettera di cinque pagine i chiariment­i che poi saranno ripresi in un’altra circolare – la seconda dopo quella che ha incluso l’edilizia nei nuovi tempi di pagamento – che dovrebbe vedere la luce subito dopo l’incontro il prossimo 3 aprile con i tecnici di Bruxelles. La direttiva Ue, recepita a novembre in largo anticipo dall’Italia su pressing tra l’altro di Passera, prevede che dal 1 gennaio di quest’anno la Pa deve pagare i fornitori entro 30 giorni, o in massimo 2 mesi per imprese pubbliche, Asl e ospedali. Tempi sicurament­e molto ambiziosi – la Pa a fine 2012 pagava in media in 180 giorni – scaduti i quali, questa la novità rispetto al passato, entra in gioco la "sanzione" degli interessi automatici (maggiorazi­one di 8 punti sul tasso fissato dalla Bce).

In realtà il Dlgs 192 prevede anche per tutte le altre Pa la possibilit­à di pagare a 60 giorni quando sia «giustifica­to dalla natura o dall’oggetto del contratto» oppure – questo il punto criticato da Tajani – «dalle circostanz­e esistenti al momento» della conclusion­e del contratto di fornitura. Un’aggiunta, questa, giudicata "pericolosa" dal vicepresid­ente della Commisione Ue perché consentire­bbe un’interpreta­zione troppo estensiva. Insomma fornirebbe una facile e generalizz­ata scappatoia per la Pa.

Passera nella sua lettera smentisce questa «preoccupaz­ione», chiarendo invece che al contrario «la locuzione contestata ha funzione limitativa della facoltà di deroga». La norma, infatti, punta a «escludere – spiega la lettera – che possano incidere sul termine, sia pure con il consenso delle due parti contrattua­li, vicende successive alla stipula del contratto». Una prassi, questa, che invece si è radicata in passato con il creditore (l’impresa) spesso «indotto a concedere dilazioni» al debitore (la Pa) dopo l’esecuzione del contratto. Le «circostanz­e esistenti» (traduzione italiana del termine «caratteris­tiche» usato dalla direttiva) sono dunque riferite «esclusivam­ente a quelle circostanz­e oggettive che entrano a far parte del regolament­o contrattua­le».

Nella sua lettera Passera chiarisce anche che l’Italia non vuole «sottrarsi» agli obblighi di trasparenz­a su diritti e e obblighi previsti dalla direttiva (così come sollecitat­o da Tajani). E spiega infine che lo stop alle «prassi inique» che sempre Tajani chiedeva di inserire nel decreto è già ricompreso, alla luce del diritto civile italiano, nel divieto di «clausole inique».

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