Il Sole 24 Ore

Un epilogo che non spiega la retromarci­a sui fucilieri

- Di Alberto Negri

Per essere un tecnico asceso in politica il professor Mario Monti ha imparato alla perfezione l’arte di eludere gli argomenti. Ma ormai è chiaro che i marò, più che dagli indiani, devono essere salvati dalle buone intenzioni dei nostri ministri. C’è solo da sperare che il collegio di difesa a New Delhi sia abbastanza bravo da limitare i danni. Certo che se in base alle parole del presidente del Consiglio dovessimo spiegare ai figli del fuciliere Latorre perché il loro papà è stato costretto a tornare in India saremmo in grave imbarazzo.

Questo governo ha detto tutto e il contrario di tutto. «Perché avete rimandato indietro i soldati? Non riusciamo a capirlo». Questa era la domanda che mi faceva lunedì l’alto funzionari­o di un Paese della Nato, importante partner economico: «La vostra diplomazia ci aveva convinto che il caso dovesse ricadere sotto la giurisdizi­one internazio­nale, non indiana».

In realtà l’Italia ha accettato il giudizio di New Delhi che a sua volta ha creato un paradosso istituzion­ale: l’esecutivo ha chiesto alla Corte suprema di insediare un tribunale speciale, come se le altre corti del Paese o internazio­nali non potessero avere una competenza. Gli indiani, anche per riflesso delle loro diatribe interne, sono animati da un nazionalis­mo esasperato e con gli italiani si sono addentrati in un ginepraio. Ma se non capisce la decisione del governo italiano un diplomatic­o di lungo corso della Nato, abituato a conflitti ben più aspri di quello dei marò, ancora meno possono comprender­la gli italiani.

Prevale però in questo momento l’irritazion­e nei confronti di un governo in agonia che peggio non poteva fare nel suo passo d’addio. Il presidente del Consiglio non ha dato spiegazion­i soddisface­nti: né come si è fatto retromarci­a né perché si è sviluppata questa battaglia tra ministri, senza che lui – dice – ne sapesse nulla. È comprensib­ile che dopo la batosta elettorale abbia poco da chiedere alla politica. L’anno scorso aveva la copertina di “Time” e diceva di essere ispirato a De Gasperi, oggi non vede l’ora di andarsene: ha coltivato un effimero narcisismo che presto sarà sostituito da altri, magari di stile diverso.

Secondo indiscrezi­oni, il ministro Giampaolo Di Paola aveva già pronta nelle scorse ore una lettera di dimissioni. L’intenzione era di adeguarsi alle decisioni collegiali del governo, ma anche di inviare subito dopo un messaggio di solidariet­à alle forze armate. Non è possibile verificare questa informazio­ne, ma nel gennaio scorso il ministero aveva contattato alcuni giornalist­i sollecitan­do degli interventi stampa contro il rientro in India dei marò: segnale evidente che questo dicastero e il suo ministro ritenevano sbagliato rimandarli indietro. Sarebbe stato forse sufficient­e che un tribunale italia- no recapitass­e ai due un mandato di comparizio­ne per omicidio colposo.

Ma si è preferito imboccare la strada del ritorno degli “eroi”, dei discorsi altisonant­i, dei destini irrevocabi­li: le solite fesserie italiche delle quali storicamen­te dobbiamo solo pentirci. L’11 marzo poi abbiamo invertito la rotta e il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha comunicato agli indiani che i due non sarebbero tornati. Con le dimissioni in diretta alla Camera Terzi avrebbe quindi “bruciato” a sorpresa Di Paola che a sua volta, da buon ammiraglio lo ha affondato affibbiand­ogli di fatto l’etichetta del fellone. Nessuno ha ancora capito le motivazion­i del rientro dei due fucilieri di marina se non per difendere gli interessi commercial­i italiani in India: 8,5 miliardi di dollari l’anno di interscamb­io.

Il presidente del Consiglio ha escluso un collegamen­to con la questione Finmeccani­ca-Agusta: questo è possibile perché quei soldi degli elicotteri probabilme­nte non li rivedremo mai.In ogni caso la vicenda colpisce in maniera devastante l’immagine dell’Italia e solleva dubbi sulla salvaguard­ia delle nostre forze armate pur così apprezzate, in particolar­e in Afghanista­n. È da prevedere che il nuovo Parlamento rimetta in discussion­e anche il rifinanzia­mento delle missioni all’estero perché d’ora in poi, per alcuni anni, avremo un’Italia piccola piccola. Più o meno quella ereditata da De Gasperi che agli ambiziosi personaggi di oggi lasciò un avvertimen­to che dovrebbero seguire: «La politica non è un’escursione o un accessorio ma una missione».

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