Su Bersani lo stop di Pdl e Grillo
Il segretario Pd: offro cambiamento, ma nessuna blindatura sul Colle
«Il Pdl vuole un gesto di legittimazione politica? Detto fra noi è come quando le Brigate rosse negli anni Settanta chiedevano il riconoscimento politico». La frase di un dirigente del Pd descrive con una certa crudezza quello che nella tarda sera di ieri era il clima tra i due principali partiti. Se in mattinata si era sparso un certo ottimismo tra i democratici sulla possibilità di chiudere un accordo sullo schema del doppio binario (da una parte governo del cambiamento, dall’altra larghe intese per le riforme istituzionali), la strada di Pier Luigi Bersani appare in queste ultimeore prima di tornare al Quirinale obiettivamente molto più stretta. La porta è quasi chiusa. Il segretario del Pd ad ogni modo non demorde e restano in piedi tutti i contatti utili perché Pdl e Lega non impediscano, in parte uscendo dall’Aula del Senato e in parte votando la fiducia, la partenza della macchina del governo Bersani. Lo schema del doppio binario è stato accettato in linea di massima dal Pdl. Compresa l’offerta di guidare la Convezione redigente per riformare la legge elettorale e riscrivere la seconda parte della Costituzione messa in campo da Bersani (a presiederla potrebbe essere Angelino Alfano o lo stesso Silvio Berlusconi). Il punto vero è l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Bersani ha assicurato una scelta condivisa, Berlusconi vuole la blindatura su un nome di centrodestra. «Il Pd non può prendere Palazzo Chigi e pure il Quirinale», è il ragionamento fatto da Berlusconi ai "colonnelli" che stanno trattando con il Pd. E Maurizio Gasparri glossa: «Deve essere quello dei nostri più accettabile per loro e non quello dei loro più accettabile per noi». Insomma, schema ribaltato: la "rosa" deve essere composta da Marcello Pera-Gianni Letta-Antonio Martino e non da Giuliano Amato- Franco Marini-Luciano Violante. Una blindatura che Bersani e il Pd non vogliono accettare. Il prezzo politico da pagare, ossia il sapore di inciucio, è troppo alto.
Se la porta dell’accordo con il centrodestra è stretta, la giornata di ieri ha registrato la chiusura definitiva della porta grillina. Il no a un governo Bersani («mai la fiducia») è stato ribadito in diretta streaming al segretario del Pd dai capigruppo del M5S Roberta Lombardi e Vito Crimi. Subito dopo ci ha pensato lo stesso Beppe Grillo a chiarire il concetto definendo Bersani e vari altri politici «padri put- tanieri» («auguri ai salvatori della patria», è stata la replica). Crimi ha poi aggiunto ulteriore carne al fuoco lasciando intravedere la possibilità che il M5S appoggi un governo del Presidente. Insomma, è il piano B di cui Bersani e i suoi non vogliono neanche sentir parlare, ma che invece agita il Pd. Il segretario sembra intenzionato ad andare fino in fondo e a tentare la forzatura con il Capo dello Stato: andare comunque di fronte al Parlamento per la fidicia. Ma si sa che Giorgio Napolitano esige la certezza dei numeri. Per ora le carte sono coperte, ma nel Pd la bomba del governo del Presidente è pronta ad esplodere un minuto dopo il fallimento del tentativo Bersani. A voler evitare il ritorno precipitoso alle urne non sono solo renziani e veltroniani, ma anche chi fin qui ha seguito lealmente il tentativo di Bersani: da Enrico Letta (il cui nome si faceva ieri in Transatlantico anche come possibile prossimo premier incaricato) a Dario Franceschini e Giuseppe Fioroni ad Anna Finocchiaro fino naturalmente a Walter Veltroni e Massimo D’Alema. Il piano B c’è eccome, aspetta solo di poter uscire allo scoperto. E per capire che aria tira in casa Scelta civica – i cui senatori sono indispensabili al Pd – basta ascoltare Luca Cordero di Montezemolo: «Non c’è alternativa ad un governo di scopo ampio e forte sostenuto da tutte le principali forze politiche»