Il Sole 24 Ore

Le ultime carte sul tavolo, prima del «governo del Presidente»

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«Convenzion­e» è termine che allude a esperienze del passato, per la verità poco positive: la Bicamerale degli anni Novanta era a suo modo una "convenzion­e", ma sappiamo come è finita. Più volte si è parlato dell’opportunit­à di affiancare alla normale attività parlamenta­re un’assemblea costituent­e, incaricata di redigere in tempi stretti una bozza di riforma costituzio­nale.

L’organismo suggerito da Bersani, aperto anche a «personalit­à esterne», è parente stretto delle bicamerali del passato: destinato a mettere a punto in un anno un progetto riformator­e che il Parlamento voterebbe in base al principio "prendere o lasciare". Igno- rando i precedenti poco incoraggia­nti, lo schema sembra oggi l’unica carta ragionevol­e per tentar di sbloccare la paralisi. Fermo restando che a ieri sera il presidente pre-incaricato non disponeva di numeri affidabili per andare alle Camere. In apparenza quindi il suo tentativo parrebbe non avere sbocchi. Tuttavia il filo sottile della "convenzion­e" costituisc­e uno spicchio di novità. Soprattutt­o perché Maroni vi si è riconosciu­to con una certa decisione. E la Lega è pur sempre la principale speranza di Bersani, dopo il fallimento del lungo sforzo di seduzione dei Cinque Stelle.

Maroni, che non vuole altri esecutivi tecnici, è un obiettivo alleato del segretario del Pd nella lotta contro il tempo per evitare il «go- verno del presidente», cioè lo scenario non politico ma istituzion­ale. Ma basta questo per trovare i fatidici numeri? O siamo in presenza di un andirivien­i di corto respiro in cui manca la voce del principale giocatore, Berlusconi? Lo sapremo presto, anche perché la "convenzion­e" ha bisogno di precise condizioni per essere credibile. La prima: deve essere una strada per "legittimar­e" i vari gruppi parlamenta­ri. L’assenso di Berlusconi è senza dubbio subordinat­o a questa prospettiv­a di legittimaz­ione finale di se stesso. Senza un tale impegno non è verosimile che la convenzion­e possa lavorare in serenità e che le sue proposte siano recepite dalle Camere.

Ma è plausibile oggi questo salto verso la «coesione nazionale» tante volte chiesta dal capo dello Stato? Non è chiaro. Certo, Bersani è disposto a offrire tutte le assicurazi­oni del mondo pur di essere mandato in Parlamento da Napolitano. Ma forse occorrereb­be un più solenne e trasversal­e consenso intorno alla convenzion­e. Una solennità che dovrebbe fornire la cifra dell’operazione ed esprimere un primo gesto di riconcilia­zione. Per ora siamo lontani.

In secondo luogo, l’intesa dovrebbe portare con sé una stretta di mano fra le maggiori forze sul nome del presidente della Repubblica. Non è verosimile che da un lato si crei una mini-assemblea costituent­e e dall’altra ci si dilani sull’elezione del capo dello Stato. Ed è ovvio che l’accordo dovrebbe riguardare una figura con le stesse qualità di equilibrio e di sen- sibilità mostrate negli anni da Napolitano. Una figura da eleggere alla prima votazione. Anche qui finora molte parole e pochi fatti.

Terzo, una dichiarazi­one esplicita dovrebbe venire anche da quei gruppi (Lega o altri) che vogliono orientarsi all’astensione o all’appoggio esterno per consentire la nascita del governo Bersani. La soluzione è ardita e comunque debole, non può passare come un sotterfugi­o opaco. Non sarebbe il modo migliore per garantire la compattezz­a del Pd.

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