Il «piano B» del Quirinale: nuovo nome in tempi rapidi
Per Macaluso sarà una figura di confine tra istituzioni e politica
Nessun commento ufficiale né ufficioso. Quando, nella tarda serata di ieri, appariva ormani tramontato il tentativo di Pierluigi Bersani, dal Colle è trapelata solo una frase piuttosto scarna: «In attesa che il premier incaricato venga a riferire, il presidente si chiude in un rigido no comment». Il senso è che davvero la preoccupazione di Giorgio Napolitano aumenta perché uno dopo l’altro stanno cadendo tutti i puntelli che aveva cercato di mettere. Innanzitutto, c’è il tentativo del leader Pd che non sembra decollare e che, quindi, riconsegnerebbe il cerino nelle mani del Colle. In secondo luogo, è evaporata anche l’exit strategy del capo dello Stato che – nell’impossibilità di trovare una soluzione alla crisi – avrebbe puntato sul Governo Monti fino all’elezione del prossimo capo dello Stato. Bene, questa opzione, dopo le dimissioni polemiche del ministro Terzi, blocca l’uscita di emergenza di Napolitano e ripropone il tema del "che fare" se Bersani oggi restituirà il suo pre-incarico.
Quel che sembra certo è che il presidente agirà – è costretto a farlo – e lo farà in tempi molto rapidi. La ragione è il complicarsi della crisi politica che si somma a quella finanziaria che sta rialzando la testa sull’Italia. Inoltre, il Colle è consapevole che non far nulla sarebbe come legittimare un rapido ritorno alle urne mentre ha la convinzione opposta: cioè che far rivotare gli italiani con la stessa legge elettorale riprodurrebbe l’impasse visto che le forze in campo sono tre e che il Senato sarebbe di nuovo senza maggioranza. Dunque, se Bersani dovesse gettare la spugna, Napolitano avrebbe davanti una via strettissima che comunque cercherà di percorrere. Ne è convinto, per esempio, il suo amico Emanuele Macaluso, politico siciliano dell’ala migliorista dell’ex Pci. «Se Bersani non riuscisse a concludere positivamente il suo pre-incarico, la logica vorrebbe che si facesse un governo. E in tempi rapidi. La mia è un’opinione personale ma per come conosco Napolitano cercherà di agire in questa direzione tenendo presente la Costituzione e il bene del Paese. Qualcosa farà. Mai siamo stati in una situazione così drammatica».
Emanuele Macaluso ripassa a memoria altri momenti delicati o tragici della storia italiana ma in questo frangente vede la somma di troppi fattori negativi. «Consideri che abbiamo tre forze politiche incompatibili tra loro, che Berlusconi vuole trattare su Quirinale e giustizia, che Grillo dice no a tutto. Inoltre c’è un capo dello Stato che non può sciogliere le Camere ma, anche se potesse, farebbe un danno al Paese rimandandolo alle urne senza una nuova legge elettorale. Si riprodurrebbe infatti lo stesso stallo di oggi. È un incastro micidiale a cui va sommata la crisi finanziaria e quella europea, vediamo come è stata gestita la vicenda di Cipro». E allora, dice Macaluso: «Per come conosco Napolitano proverà a fare un governo. Anzi, è più corretto dire che lo spero. Chi incaricare? Direi una figura di confine tra le istituzioni e la politica». Le suggestioni di Macaluso sono già diventate un totonomi da giocare in Translantico: si parla di Giuliano Amato (più come ministro degli Esteri che come premier); di Luciano Violante premier gradito al Pdl ma poco masticabile da una parte del Pd; o anche figure di costituzionalisti come Capotosti o Cheli. E tra i ministri vengono inclusi sia Enrico che Gianni Letta, Fabrizio Barca, Fabrizio Saccomanni e i ministri Severino e Cancellieri.
Tutti nomi che magari stanno in piedi qualche ora mentre tramonta l’ipotesi "minimal" di Bersani: cioè un governo di minoranza sostenuto con la "non sfiducia" di Pdl e Lega. Ipotesi a cui invece adesso sta pensando una parte del Pd che non vuole appoggiare esplicitamente l’eventuale governo del presidente. E quindi pensa di poterlo far nascere uscendo dall’Aula ma garantendo il numero legale solo affinché possa portare – presto – il Paese alle urne quando si insedierà il nuovo capo dello Stato. Ma quello che questa parte del Pd non considera è che sarà difficile per loro dire di no a Napolitano a meno di spaccare il partito.