Imprese nell’arte con regole chiare
Le linee guida sulle sponsorizzazioni semplificano gli interventi
L’intervento di Gianluca Comin, pubblicato sul Sole 24 Ore del 21 marzo scorso con il titolo I punti irrisolti del decreto su rapporto imprese-cultura, ha argomentato alcune critiche alle recenti Norme tecniche e linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazioni di beni culturali. Lo ha fatto - costume non troppo praticato da chi più frequentemente scrive di cultura e beni culturali - in termini pacati e con l’intento di fornire utili suggerimenti, sulla base della propria esperienza e non di assunti ideologici. Rispondere ai rilievi critici è pertanto, in questo caso, non solo un dovere da parte mia, ma anche il modo per proseguire l’approfondimento di questioni tuttora aperte, cercando così di offrire alle nuove Camere e al prossimo Ministro spunti idonei a migliorare ulteriormente l’intera e complessa materia delle sponsorizzazioni.
Gianluca Comin, dopo aver sottolineato che il provvedimento del Ministero era «atteso da tempo», indica la «questione di prospettiva» rimasta irrisolta o ancora un po’ nebulosa. A suo giudizio, anziché sburocratizzare e agevolare forme funzionalmente collaborative fra pubblico-statale e privato-sociale, le norme si limitano a regolare il confronto concorrenziale tra le aziende (solitamente poche o pochissime) che «si sfidano per conquistare il diritto al sostegno di un’opera».
Per capire il senso e le motivazioni sostanziali delle Linee guida occorre chiarire a quali principi si siano ispirate. Esse, infatti, riguardano specificamente l’attuazione dell’art. 199-bis, inserito nel codice dei contratti pubblici dal decreto legge n. 5 del 2012. Previste dal medesimo decreto, le Linee guida altro non avrebbero potuto fare che disciplinare il confronto concorrenziale fra le imprese, poiché tale è la finalità loro assegnata dalla legge. Immediatamente alle spalle di una tale legge - non va dimenticato - vi era la paralizzante litigiosità, scatenatasi di fronte al primo e paradigmatico tentativo di sponsorizzazione del restauro di un bene culturale unico al mondo, quale il Colosseo. Occorre altresì ricordare che su tale questione sono intervenute due Autorità indipendenti (quella che si occupa dei contratti pubblici e l’Antitrust), esprimendo posizioni non del tutto collimanti tra loro.
Tenendo in debito conto le non poche polemiche e i numerosi ricorsi legati alle modalità con le quali si era pervenuti alla scelta del partner privato per il restauro del Colosseo (ma anche prestando la necessaria attenzione a quanto vanno suggerendo da tempo associazioni e realtà d’impresa che concretamente sostengono conservazione e valorizzazione dei beni culturali), le Linee guida si articolano attorno a un principio-cardine. Che è il seguente: poiché si tratta di "beni pubblici", la scelta delle procedure con cui abbinare il nome di una certa impresa a un monumento deve avvenire in base a regole chiare e predeterminate, così da evitare ogni ipotesi o sospetto di aver operato in assenza, o al di fuori, di regole prestabilite e controllabili. La "trasparenza" è reale quando nessun segmento della procedura rimane nella penombra. Le norme in questione, se - come credo - sono chiare nei loro principi, sono anche più innovative di quanto non possano apparire a prima vista. Proprio per evitare equivoci e appe-
Conosco il top management della banca da tempo e conosco le loro qualità manageriali. Ecco perché sono certo che il Monte dei Paschi oggi sia in buone mani. E reputo assai ingeneroso che in Italia e anche all’estero si parli e si scriva del Monte dei Paschi solo come di una banca sull’orlo del fallimento, minata da una gestione truffaldina e dal groviglio avvelenato con la politica. Temo si dimentichi che oggi si sta gestendo una vera e propria rivoluzione cominciata prima ancora che scoppiasse il terremoto giudiziario sugli ex vertici. Oggi Mps è una banca diversa, impegnata da più di nove mesi in un rilancio concreto, in iniziative di grande trasparenza come la revisione dello statuto che ha permesso la nomina di un amministratore delegato, come la pulizia di bilancio sui costi del personale che non erano stati contabilizzati correttamente dalla gestione precedente. Sono state anche riscritturate operazioni come le stesse Santorini e Alexandria. Il nuovo management ha anche riorganizzato profondamente la rete commerciale che è stata completamente ridisegnata per renderla più efficiente.
Spesso si dimentica anche che gli strumenti finanziari straordinari chiesti al Tesoro, i cosiddetti Monti bond, sono figli delle richieste dell’Autorità bancaria europea. A ottobre 2011 l’Eba stabilì che a Siena serviva un rafforzamento patrimoniale di 3,2 miliardi. Un rafforzamento «straordinario e temporaneo» imposto dalla svalutazione teorica dell’enorme portafoglio di Btp posseduto da Rocca Salimbeni. Parliamo di circa 25 miliardi all’epoca, quando lo spread era sopra quota 500. La diminuzione di fiducia nei confronti dell’Italia, ovvero della sua capacità di ripagare il debito pubblico, ha colpito soprattutto chi, come Mps, aveva puntato troppo sul "rischio Paese". Investimento che si può criticare ma ricordiamoci che se le banche non avessero comprato titoli di Stato sostenendo il debito pubblico oggi l’Italia sarebbe messa peggio. E ricordiamoci anche, ad abundantiam, che il valore di quei titoli tenderà al valore nominale con l’avvicinarsi delle loro scadenze. La perdita teorica, quindi, nel tempo si azzererà.
Ma nell’ultimo anno e mezzo, lo spread si è ristretto. Il governo si è fatto carico del sostegno per colmare il gap creato dalla perdita di valore "mark to market" dei suoi Titoli. E più scende lo spread, più i titoli di Stato di cui il Monte ha fatto indigestione possono tornare vicino al loro valore nominale ridimensionando anche per questa via le minusvalenze potenziali. Se dunque l’Eba oggi facesse un nuovo test sul Monte dei Paschi, si troverebbe di fronte a un’asticella di deficit patrimoniale più bassa rispetto a due anni fa. Certo, i Monti Bond sono un prestito che si paga molto caro. Non è un finanziamento a fondo perduto. Ma se lo spread scendesse ancora, complice un equilibrio post-elettorale, che oggi non può esserci ma che domani potrebbe esserci, il gruppo senese potrebbe restituire in un colpo solo gran parte dei prestiti ricevuti dallo Stato, lasciando la ricopertura della parte rimanente a quell’aumento di capitale già affidato in delega al consiglio d’amministrazione e previsto non prima del 2014.
Nel frattempo Alessandro Profumo e Fabrizio Viola stanno giocando la partita sul campo della solidità patrimoniale, dell’equilibrio finanziario, di una redditività sostenibile e del rilancio operativo. Cui si aggiunge la grande sfida, quella dell’attuazione del piano industriale. Spina dorsale e, al tempo stesso, volano del nuovo Monte dei Paschi.
Riuscirà il nuovo management a centrare gli obiettivi dovendo anche convivere con una mole consistente di eventi straordinari da gestire? Ne sono convinto. Mps non è una banca sull’orlo del fallimento. Non ci sono buchi da coprire. Quelli che c’erano sono stati coperti. Parliamo della terza banca italiana, con 30.000 dipendenti e 6 milioni di clienti. Una banca viva. Una banca che non è solo un’azienda, ma anche correntisti, famiglie, imprese, investitori. Un pezzo del Paese. Il Monte dei Paschi sta pagando gli errori del passato e merita rispetto e fiducia. Perché gestisce il futuro dei risparmiatori che l’hanno scelta e di chi in banca ci lavora.