Uno «statuto» per i collaboratori
Dai grandi studi legali
I giovani collaboratori di studio hanno doveri e diritti. A cominciare dal diritto a un corrispettivo e alle tutele in caso di malattia e di maternità, fino alla quantificazione dei permessi di studio per preparare l’esame di Stato. In assenza di una disciplina per legge, l’associazione dei grandi studi legali ha messo a punto un protocollo volontario per delineare il rapporto con i collaboratori. «Da tempo l’Associazione – spiega Giovanni Lega, presidente di Asla – ha formalizzato un documento di best practice i cui obiettivi principali sono di fornire ai collaboratori e agli studi legali indicazioni certe per lo sviluppo del percorso professionale. Nei nostri studi i collaboratori percepiscono compensi adeguati all’età, all’esperienza e ad altri indicatori individuati singolarmente; ci sono tutele uniformi e idonee per la maternità, per le assenze dallo studio per prepararsi a sostenere gli esami di abilitazione, oltre che, in molti casi, polizze speciali per malattie o infortuni».
Le Linee guida di best practice degli studi aderenti ad Asla puntano a valorizzare il merito, da una parte con il ri- conoscimento di un corrispettivo economico, dall’altra con l’individuazione di un percorso di crescita professionale preciso, su cui i partner dello studio hanno l’obbligo di fare, periodicamente, il punto con i collaboratori.
Il modello Asla può essere esportabile, nel momento in cui all’interno dell’avvocatura – giusto dopo l’approvazione della riforma forense – si è aperto il dibattito sull’opportunità di definire la figura del legale-dipendente? Probabilmente no, per Giovanni Lega, perché nella professione manca qualsiasi aggancio quantitivo alla meritocrazia. «Che senso ha – chiarisce Lega – che un presidente di un Ordine del Sud, con 12mila euro di reddito l’anno, abbia 18 praticanti? Forse, in quel caso, sono i praticanti a offrire un sostegno economico al titolare di studio».
Eppure, al di là dei facili populismi, passa forse anche da canoni reddituali, con il giusto compenso per chi collabora nell’attività professionale dello studio, la possibilità di far crescere qualitativamente la professione. rante della privacy recenti pareri.
In questo modo l’Autorità ha dato ragione a due cittadini che erano rimasti, anni addietro, coinvolti in vicende giudiziarie, dalle quali erano poi usciti assolti.
Nell’archivio storico online de La Repubblica, però, si poteva, anche attraverso i motori di ricerca esterni al sito, ancora leggere la notizia sul coinvolgimento dei due cittadini nel processo, senza alcun aggiornamento sugli esiti di quest’ultimo. La richiesta dei ricorrenti era, pertanto, che quella notizia venisse cancellata dall’archivio.
L’editore ha fatto notare che già il fatto che si tratti di un archivio storico rende immediatamente percepibile che le notizie si riferiscono al passato e non al presente e che correggere o aggiornare il vecchio articolo equivarrebbe a una ripubblicazione o una riscrittura della notizia, in assenza però dei presupposti di cronaca.
Via libera, invece, alla richiesta di inibire l’indicizzazione dei vecchi resoconti da parte dei motori di ricerca.
Il Garante è stato, però, di diverso avviso. Il blocco dell’indicizzazione va bene, ma deve essere accompagnato dall’aggiornamento del pezzo attraverso un idoneo siste- con la sentenza 5525/2012. I supremi giudici si erano trovati a decidere su un caso analogo e avevano affermato che «a salvaguardia dell’attuale identità sociale del soggetto occorra garantire al medesimo la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate, concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria (...)».
L’editore, tuttavia, non si è dato per vinto e ha deciso di impugnare la decisione del Garante di fronte all’autorità giudiziaria.