Il Sole 24 Ore

L’atto minacciato è legale? Il reato è di «induzione»

La Cassazione interviene sui confini delle nuove fattispeci­e

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La Cassazione continua nella sua lettura della nuova disciplina anticorruz­ione. E arriva a una prima serie di conclusion­i sintetizza­te nell’ampia motivazion­e della sentenza numero 13047 della sesta sezione penale depositata il 21 marzo. La pronuncia ha annullato la sentenza con la quale la Corte d’appello di Milano aveva confermato la condanna emessa dal gip nei confronti di due finanzieri che, nell’ambito di una verifica a carico di una srl, avevano estorto il pagamento di una tangente di 40mila euro, come prima tranche, per evitare una chiusura sfavorevol­e alla società e una possibile estensione degli accertamen­ti fiscali ad altre società dello stesso gruppo. L’annullamen­to della pronuncia è stato determinat­o dalla necessità di riqualific­are la condotta sulla base del nuovo articolo 319 quater del codice penale sull’induzione indebita.

La Cassazione, nell’analizzare la nuova fattispeci­e in rapporto alla vecchia, sostiene che il comportame­nto di minaccia, di ogni tipo ed entità, di un danno ingiusto per il privato, finalizzat­o a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posto in essere con abuso di poteri e/o di funzioni, integra il delitto di concussion­e, se proviene da pubblico ufficiale o di estorsione se proviene da incaricato di pubblico servizio. Quando, invece, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblica sicurezza, abu- sando delle funzioni o dei poteri, sempre per farsi dare o promettere il denaro o l’utilità, prospettan­o al privato, con comportame­nti di persuasion­e e convinzion­e non integranti minaccia, la possibilit­à di adottare atti legittimi ma dannosi per il privato medesimo, ricorre il delitto di induzione indebita di cui all’articolo 319 quater.

La distinzion­e per qualificar­e correttame­nte le condotte commesse e contestate prima della legge 190/2012 va così fatta non sulla base di un uso formale dei termini «costrizion­e» e «induzione», ma analizzand­o la condotta contestata e le conseguenz­e prospettat­e dal pubblico ufficiale per ottenere il denaro o le altre utilità oppure se ha prospettat­o un male ingiusto. In questa prospettiv­a, i fatti contestati ai due finanziari devono essere inquadrati nella nuova figura di reato introdotta dall’articolo 319 quater. Infatti, i due appartenen­ti alla GdF hanno prospettat­o l’esercizio di attività legittime in sé, individuan­do irregolari­tà fiscali sia nell’azienda in cui erano in corso le attività di verifica sia nelle altre aziende del gruppo: «il pagamento della somma pretesa veniva comunque presentato come alternativ­a a un danno non certo qualificab­ile ingiusto». Una condotta che oggi rientra a pieno titolo nell’area dell’induzione indebita.

Un reato, quest’ultimo, che prevede anche la sanzione per chi dà o promette utilità. Ora i giudici della Corte d’appello dovranno procedere a valutare le situazioni in cui il privato accetta di promettere con la riserva mentale di rivolgersi alla polizia e in cui il privato, come avvenuto, si rivolge effettivam­ente alla polizia organizzan­do una consegna controllat­a del denaro.

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