Ankara all’eni: via da Cipro o fermiamo le collaborazioni
Scaroni «dispiaciuto», ma rifiuta di rinunciare alle licenze
Le minacce non sono una novità: la Turchia non ha mai digerito le esplorazioni al largo di Cipro. Ora ha scelto su quale bersaglio concentrare le sue ieri. È soltanto all’Eni – e non ad altre compagnie che operano nell’area – che Ankara ha intimato di fermare le trivelle, pena l’interruzione di ogni progetto congiunto.
La possibile ritorsione non spaventa comunque il gruppo di San Donato, che esclude categoricamente un ritiro dalle operazioni nell’isola, dove appena due mesi fa ha ottenuto licenze esplorative per tre blocchi offshore, di cui è titolare all’80% in partnership con la sudcoreana Kogas. L’area ha attirato un forte interesse da parte delle majors dopo che l’americana Noble Energy vi ha scoperto riserve per 200 miliardi di metri cubi, abbastanza da soddisfare il 40% dei consumi annui europei. Ankara, che nel 1974 ha occupato una parte dell’isola di Cipro, ritiene tuttavia che lo sfruttamento da parte di Nicosia sia illegale.
Il ministro dell’Energia turco Taner Yildiz ieri è stato molto chiaro: «Abbiamo deciso di non lavorare più con l’Eni in Turchia e di sospendere i progetti già avviati». In particolare, il ministro ha fatto riferimento al progetto per la costruzione del SamsunCeyhan, un oleodotto dalla capacità di 1,5 milioni di barili al giorno, destinato a trasportare il petrolio russo dalla costa turca del MarNeroal Mediterraneo, alleggerendo il traffico navale nello stretto del Bosforo. La turca Calik Enerji, che ha siglato un accordo con l’Eni nel 2005, «deciderà in autonomia se continuare a collaborare con l’azienda italiana», ha precisato Yildiz. «Ma il Governo preferisce non lavorare con loro su nessun progetto».
Paolo Scaroni, amministratore delegato del Cane a sei zampe, si è detto «dispiaciuto per la reazione di ministro turco» e «fiducioso in un punto di intesa, nell’interesse di entrambi». Tuttavia, ha assicurato, non ci sarà «nessuno stop» al progetto contestato. Quanto alla Samsun-Ceyhan, si tratta di un progetto «dormiente», che rimar- rà tale «finché l’attraversamento del Bosforo per le petroliere non diventerà più costoso».
Altri progetti passibili di ritorsioni in Turchia non sembrano esserci. L’Eni ha una piccola quota (5%) nella Btc o BakuTbilisi-Ceyhan, che trasporta greggio dall’Azerbaijan. Inoltre possiede con Gazprom il tratto sottomarino del Blue Stream, gasdotto che attraversa il Mar Nero per portare in Turchia 16 milioni di metri cubi l’anno di metano russo, circa un terzo del fabbisogno di Ankara. Si era ipotizzato in passato un suo ampliamento, ma per ora non è un vero e proprio "progetto". Inoltre la turca Botas è coinvolta solo nel tratto finale della pipeline. In futuro anche il maxigasdotto South Stream avrà bisogno di un via libera di Ankara, per il passaggio in acque turche. Ma in questo caso la Turchia dovrebbe sfidare direttamente il Cremlino, che ha il maggiore interesse alla costruzione della conduttura.