I timori del mercato sull’economia reale
La notizia di ieri è il nuovo massimo storico di Wall Street: quello vero, perché segnato dall’indice S&P500 a 1.569 punti. E fa notizia perché quel record è il risultato più della volontà degli operatori che dalla realtà delle cose. Paradossalmente Wall Street ha voluto raggiungere il suo scopo proprio nel giorno in cui i sussidi di disoccupazione sono aumentati, contro ogni attesa, al massimo da 5 settimane, l’attività manifatturiera nell’area Fed di Chicago ha rallentato, tornando ai livelli di 4 mesi fa, e quella nell’area Fed di Kansas City è rimasta in recessione.
L’altra notizia è che la Borsa italiana, unica in Europa, è scesa anche ieri: seppure di un modesto 0,1%, sebbene i rendimenti dei Btp siano calati di qualche misero centesimo e le quotazioni delle banche siano un poco risalite. In verità, i malanni di Piazza Affari non fanno più notizia poiché la nostra Borsa sconta il pesante declino economico del Paese che rischia d’essere irrimediabile nel vuoto lasciato dalla politica. Per quanto la notizia del fallito tentativo di formare un Governo (Bersani) sia arrivata a mercati chiusi, nessuno a Piazza Affari s’era fatto illusioni. E nessuno coltiva la speranza che si possa creare nelle prossi- me settimane una maggioranza credibile, tanto è diffusa la consapevolezza che potrà uscire solo un surrogato di Governo a tempo per preparare nuove elezioni. Per bene che possano andare le cose, l’incertezza politica peserà per altri 9 mesi e sarebbe un mezzo miracolo se nel frattempo si troverà una soluzione per quei 40 miliardi di debiti (su 90) contratti dalle pubbliche amministrazioni verso i fornitori.
Gran parte del declino economico (e morale) del Paese è strutturale e nemmeno la migliore volontà politica potrebbe nel breve periodo invertire la tendenza. Però il vuoto politico potrebbe aggravarla, così come rischia di peggiorarla l’evanescenza di un’Unione monetaria che, specie dopo il caso Cipro e la probabile ripetizione di quello scema in Slovenia, sta diventando occa- sione per altre laceranti tensioni tra gli Stati membri.
E qui la politica italiana potrebbe, anzi dovrebbe, mostrare un briciolo di responsabilità per non aggravare ulteriormente la situazione. Dai massimi di gennaio, i titoli bancari sono crollati del 28%, il doppio dell’indice Mib, ma i Btp decennali sono scesi appena del 4,7% (con il rendimento è salito dello 0,6%). Se i nostri titoli di Stato restano ancora in uno strano limbo è solo perché tra gli investitori permane l’illusione che l’Italia potrebbe chiedere l’attivazione del fondo salvastati. Nessun Governo farebbe mai questa scelta che lascerebbe il Paese nelle mani della Troika. Ma un Governo consapevole potrebbe almeno trattare condizioni più accettabili a Bruxelles.
In occasione delle ultime elezioni , da Tokyo a Londra, da Wall street a Singapore, gli strategist del "fixed income" hanno dovuto studiare nei dettagli la legge elettorale, per capire perchè la coalizione che ha la maggioranza (con premio) certa alla Camera non è detto che ce l’abbia al Senato.
Come poi è stato. Lo stesso è accaduto in questi giorni. I traders in BTp di tutto il mondo si sono interrogati sui vari tipi di governo potenzialmente in arrivo alla guida del Paese con il terzo debito pubblico al mondo (governo del presidente, di scopo, balneare, di larghe intese, governissimo...) con una preoccupazione di base: riuscire a intuire la tenuta e la durata del prossimo esecutivo.
Quel che è accaduto, durante le consultazioni del leader del PD Bersani, a livello dei mercati è uno stato di gran confusione sullo stallo politico. Anche per questo, e complice il salvataggio "disordinato" di Cipro, prima della chiusura per la festività pasquale, in molti tra mercoledì e ieri hanno alleggerito le posizioni sul rischio-Italia temendo lo scenario peggiore, quello del ritorno alle urne in tempi stretti.
L’esito «non risolutivo» del tentativo di Bersani i mercati lo hanno scontato in quello spread tra BTp e Bund ritornato in area 350. Un livello di tregua. Di attesa. I rendimenti dei titoli di Stato italiani potrebbero salire molto di più (tutto sommato il BTp decennale si è mantenuto comodamente sotto il 5% nel corso della crisi politica) se da questo impasse l’Italia ne uscisse con elezioni in tempi stretti. Per contro, i mercati resterebbero favorevolmente sorpresi se il presidente della Repubblica riuscisse a istituire in tempi stretti un governo di grande coalizione, sostenuto da centrodestra, centrosinistra e il partito di Mario Monti. L’ideale per i mercati, in questa fase così delicata per un’Eurozona alle prese con il salvataggio di Cipro e in prospettiva con quello della Slovenia, è un’Italia guidata da un governo concentrato su alcune riforme-chiave che riesca a portare avanti il Paese senza scossoni politici almeno fino alla fine dell’anno.
E se anche l’implementazione delle riforme strutturali dovesse rallentare, ai mercati potrebbe bastare una conferma della linea del rigore nella gestione dei conti pubblici: l’Italia sfoggia un deficit/Pil e un avanzo primario tra i migliori nella zona dell’euro, primati che vanno confermati per rendere meno indigesto il debito/Pil al 128% e aste lorde quest’anno per oltre 400 miliardi.
I mercati hanno dunque apprezzato la decisione del Governo uscente di sbloccare il pagamento di 40 miliardi di debiti commerciali pregressi della PA in due anni, che servirà ad allentare il credit crunch per la crescita: senza appesantire eccessivamente il programma di raccolta a medio-lungo termine del Tesoro e senza sforare la soglia del 3% sul disavanzo. 7 Si registra una situazione di avanzo primario quando il totale delle entrate della macchina pubblica risulta superiore al totale delle spese al netto degli interessi sul debito pubblico. Se il tasso d'interesse è superiore a quello di crescita del Pil, una corretta politica di bilancio deve garantire avanzi primari tanto più elevati quanto più alto è il livello del debito e quanto maggiore è la differenza tra tasso di interesse e crescita economica. Il rapporto Ocse suggerisce ai Paesi più indebitati un percorso di consolidamento fiscale attraverso gli avanzi per ridurre il debito al 50% del Pil entro il 2050