Bersani: non ho rinunciato
Dal Pdl «condizioni inaccettabili», provi Napolitano - Sostegno difficile ad altre ipotesi
«Ho riferito l’esito delle consultazioni di questi giorni, che non hanno portato a un esito risolutivo, e ne ho spiegato le ragioni al presidente». Pier Luigi Bersani affronta le telecamere dopo più di un’ora di colloquio con il capo dello Stato, colloquio difficile e a tratti teso, e ammette di non aver trovato la quadra. I numeri non ci sono. «Ho descritto le difficoltà derivate da preclusioni o condizioni che ho ritenuto inaccettabili. Il presidente ha ritenuto di condurre direttamente suoi accertamenti». Le condizioni sono quelle poste da Silvio Berlusconi sull’elezione del successore di Giorgio Napolitano: un uomo di centrodestra (il Cavaliere avrebbe fatto addirittura il proprio nome, assieme a quello di Gianni Letta). Condizioni appunto giudicate inaccettabili da Bersani. Dunque, il capo dello Stato si prenderà il tempo di verificare oggi, con nuove consultazioni, la possibilità di sciogliere i nodi riscontrati dal segretario del Pd.
Tecnicamente, come fanno notare subito da Largo del Nazareno, Bersani è ancora in campo. La parola "rinuncia" non compare né nelle parole del segretario del Pd né nella nota serale del Quirinale. Finché Napolitano non avrà verificato se ci sono ipotesi più forti e soluzioni più solide, il nome di Bersani resta. Ma ipotesi diverse da Bersani devono comunque avere il via libera del Pd, è il ragionamento che il segretario ha sottoposto all’attenzione del capo dello Stato. Bersani ha messo sul piatto la determinazione unanime della direzione del partito: «No a governi politici insieme al Pdl». Enon si vede come il Pd potrebbe entrare in un governo assiemeal Pdl se a guidarlo sarà una personalità diversa dal segretario. Alla fine Bersani – che sembra abbia ventilato anche l’ipotesi di andare direttamente di fronte al Parlamento per la fiducia pur in assenza di numeri certi – strappa la decisione del capo dello Stato di lasciargli formalmente l’incarico. Sarà lo stesso Napolitano a compiere un altro giro di accertamenti, sempre sul nome di Bersani (tanto è vero che alle 18 di oggi Napolitano non incontrerà il segretario, ma il suo vice Enrico Letta insieme ai capigruppo). E in ambienti parlamentari non si dà per scontato il fallimento del supplemento d’indagine: Napolitano potrebbe infatti offrire al Cavaliere la carta della sua rielezione al Colle per sciogliere l’impasse sul Quirinale.
L’alternativa resta sempre quella del governo del presidente sostenuto da larghe intese. Governo che anche il Pd di Bersani potrebbe acconciarsi a far partire per senso di responsabilità, comefanno trapela- re da Largo del Nazareno, ma senza suoi rappresentanti in Consiglio dei ministri accanto a quelli del Pdl. La via resta dunque strettissima, e la decisione di far restare in campo Bersani almeno fino ad oggi pomeriggio tiene sicuramente conto dell’esigenza di evitare precoci spaccature del partito su piani B e C. Ipotesi che tra i democratici si sono rincorse per tutta la giornata di ieri. Quello che è chiaro anche a Bersani è che l’opzione del ritorno al voto subito non è praticabile, se non altro perché dentro il Pd ad invocare il voto a giugno è rimasto solo Stefano Fassina. Financo la "gauche" del partito comincia a guardare a un governo del presidente di qualche mese, soluzione che quantomenoavrebbe il vantaggio di dare il tempo di fare vere primarie per la leadership. «Il Paese ha bisogno di un governo – dice il lettiano Francesco Boccia –. Solo un irresponsabile come Grillo può dire che il Parlamento può lavorare anche senza. Per noi il governo migliore per il Paese resta quello Bersani, ma se dovesse fallire ci affidiamo al Presidente».
In queste ore il Pd è – per usare una metafora bersaniana – come una pentola a pressione tenuta silente proprio dal coperchio del tentativo del segretario. Tutto dipende da come si spegnerà il fuoco e dal modo in cui si toglierà il coperchio. E dopo il colloquio di ieri con Napolitano Bersani è ancora in campo, se non per il governo di certo per traghettare il partito verso soluzioni diverse.