Il tributo sui rifiuti manda in tilt 500 aziende
Operatori e sindacati in pressing per il rinvio al 2014
Costa più delle vecchie tasse o tariffe sui rifiuti, ma sta per strozzare in una crisi di liquidità un settore da almeno 500 imprese, che hanno rapporti commerciali con migliaia di fornitori e che danno stipendi a circa 65mila persone.
Il paradosso della Tares è tutto qui, e spiega bene la pioggia di richieste per rinviarne il debutto, a cui ieri si è unita anche il presidente della Camera Laura Boldrini. Alla base c’è l’allarme sull’«emergenza rifiuti nazionale» lanciato più volte negli ultimi tempi dalle associazioni delle aziende, Federambiente e Fise-Assoambiente (Confindustria), con il sostegno dei sindaci e quello dei sindacati, tutti schierati nella richiesta di slittamento al 2014 della Tares e del ritorno immediato in campo di Tarsu e Tia: un ritorno che permetterebbe alle imprese di ricominciare a fatturare, e che visti gli effetti della Tares (illustrati nella pagina a fianco) si tradurrebbe in una buona notizia anche per cittadini e imprese.
Il paradosso è alimentato dal calendario dei pagamenti deciso fra dicembre e gennaio da un Parlamento ormai lanciato verso le (dis)avventure elettorali di febbraio. Con il rinvio della prima rata a luglio, destinato a produrre i primi incassi significativi a settembre, le imprese di igiene ambientale sono costrette a lavorare gratis per una buona fetta dell’anno. Una buona notizia anche per cittadini e imprese.
I numeri, appunto, sono importanti per capire le dimensioni del problema. Tra le aziende associate in Federambiente, quelle riunite in Fise-Assoambiente (Confindustria) e le realtà collegate all’alleanza delle Cooperative italiane si può stilare un elenco di circa 500 imprese: anche le 65mila persone che vi lavorano guardano con preoccupazione crescente all’empasse, che mette a rischio il pagamento dei loro stipendi se non sarà sbloccato con un intervento urgente. Chi ancora avesse dei dubbi sull’impatto generalizzato di un blocco di questo tipo potrebbe andare su internet e dare uno sguardo alle fotografie scattate a dicembre a Reggio Calabria e in alcune città della Sicilia, con i cumuli di rifiuti in strada dopo il blocco degli stipendi nelle partecipate in crisi. Il rischio, insomma, è di replicare in chiave nazionale le scene classiche da emergenza-rifiuti, con le ricadute ambientali e di ordine pubblico che le imprese hanno già illustrato nelle settimane scorse in una serie di lettere al ministro dell’Interno e ai prefetti.
Sul territorio, vista la situazione, si è pensato a strumenti alternativi pensati per "passare la nottata", che però possono funzionare solo nelle realtà in cui le finanze delle aziende e quelle dei Comuni sono più solide. Con un’esposizione mediamente già elevata nei confronti del mondo bancario, la via per ulteriori affidamenti eccezionali è stretta, e costosa perché i tassi di interesse oscillano fra il 6,5 e l’8% contro l’1-2% pre-crisi. Ancora più impervia è la strada della richiesta di aiuto ai Comuni, che possono attingere alle anticipazioni di cassa dal bilancio pubblico ma nella maggioranza dei casi sono già schiacciati dalle condizioni dei loro conti.
Anche le imprese di igiene urbana, pubbliche o private che siano, allungano le file infinite dei creditori già in attesa di vecchi pagamenti da parte degli enti locali impantanati nel Patto di stabilità: secondo un dossier della Fise, i crediti delle aziende del settore viaggiano intorno ai 5 miliardi di euro, 2,7 collegati all’igiene urbana e il resto riferito allo smaltimento e al trattamento finale dei rifiuti.