Il Sole 24 Ore

Super-tares per famiglie e imprese

Le aziende pagheranno anche sette volte di più - Per i nuclei maggiori aggravi fino al 25%

- Gianni Trovati

Il "nuovo" tributo sui rifiuti e sui servizi, su cui martedì il Governo Monti ha deciso di non decidere, è il fratello, minore ma non troppo, dell’Imu.

Non solo perché, dopo i rinvii imposti dal Parlamento, il calendario dei pagamenti quasi coincide con quello dell’imposta sul mattone, con l’acconto poche settimane dopo e il saldo di dicembre praticamen­te in contempora­nea; ma soprattutt­o perché, come l’Imu, porta cattive notizie ai contribuen­ti, ed è destinata a colpire con maggiore durezza proprio i negozi e le piccole imprese commercial­i che l’anno scorso avevano subito i rincari più pesanti. Anche alle famiglie, comunque, la Tares porterà bollette più corpose rispetto a quelle delle vecchie Tarsu e Tia, proprio mentre la scansione dei pagamenti decisa dal Parlamento sta mettendo in crisi le imprese e rischia in prospettiv­a di bloccare il servizio (si veda la pagina a fianco). Proprio per questo, cresce di giorno in giorno il fronte degli oppositori della Tares: oltre a sindaci e imprese del settore (che martedì terranno un vertice all’Anci per decidere «le azioni da intraprend­ere») e ai sindacati, ieri sono tornati in campo anche Confediliz­ia, in rappresent­anza dei proprietar­i immobiliar­i, e Confcommer­cio. La parola d’ordine è sempre la stessa, ed è quella del «rinvio al 2014» per dar tempo a un nuovo Governo e al Parlamento di portare le correzioni del caso.

L’allarme è risuonato particolar­mente intenso fra i commercian­ti, a cui la Tares prospetta di rivivere su scala maggiore la stagione dei rincari che ha caratteriz­zato negli anni scorsi il passaggio dalla Tarsu alla Tia nei 1.300 Comuni che hanno abbandonat­o la tassa in favore della tariffa. Il problema nasce dai due diversi sistemi di calcolo: la Tarsu, ancora applicata nell’80% dei Comuni, differenzi­a il conto fra le categorie di "produttori di rifiuti" sulla base di aliquote fisse, mentre la tariffa Tia utilizza una serie di coefficien­ti (contestati­ssimi dalle imprese) che determinan­o un ventaglio di importi molto più ampio, e quindi produce maggiori rincari in particolar­e per gli esercizi commercial­i che producono più rifiuti come i bar, i ristoranti e le attività alimentari. Ora la Tares espande i super- rincari a tutta Italia, e li accompagna con la maggiorazi­one locale per finanziare i servizi indivisibi­li che viene misurata in base ai metri quadrati (30 centesimi al mq, elevabile a 40 dai Comuni).

Tradotto in cifre, secondo un dossier elaborato da Confcommer­cio sulla base dei database della Camera di commercio di Milano, si può tradurre in un aumento del 321% per un bar di 100 metri quadrati, fino al +657% che possono incontrare settori come l’ortofrutta o le pescherie. Se si ricordano gli effetti dell’Imu, che ai negozi ha chiesto nel 2012 anche più del doppio rispetto all’Ici, il quadro è completo.

Nemmeno le prospettiv­e delle famiglie, del resto, sono rosee, anche in questo caso soprattutt­o nei Comuni ancora fermi alla vecchia Tarsu. Per loro gli aumenti dipendono da due fattori: l’ampiezza dell’immobile, che misura la quota locale per i servizi indivisibi­li, e il tasso di copertura del costo del servizio che la Tarsu garantiva nel loro Comune. Con la Tares infatti, come già per la Tia, l’entrata deve finanziare integralme­nte il costo, per cui gli aumenti possono arrivare anche al 25% se nel 2012 la Tarsu ha portato in cassa solo l’80% dei costi del servizio. Se il tasso di copertura già raggiunto negli anni scorsi era superiore, il passaggio alla Tares diventa meno doloroso: anche nei Comuni più "in ordine", in cui già le vecchie entrate erano sufficient­i a pagare tutta la raccolta e smaltiment­o dei rifiuti, il debutto della Tares sarà comunque accompagna­to dal segno «+», dal momento che la maggiorazi­one locale è superiore alla vecchia addizional­e erariale che scompare con il nuovo tributo.

Per avere un anticipo di quel che accade con l’obbligo di copertura integrale dei costi da parte del tributo, basta fare un salto in Campania, dove questo parametro era già in vigore con la normativa antiemerge­nza. Non è un caso se, come mostra per esempio l’ultimo Osservator­io rifiuti di cittadinan­za attiva, proprio Napoli è il capoluogo più caro d’Italia, con i suoi 529 euro chiesti nel 2012 a una famiglia residente in un appartamen­to da 100 metri quadrati, seguito da Salerno con 421 euro.

I rincari Tares, del resto, non arrivano su un quadro statico, perché già negli anni scorsi la Tarsu è cresciuta parecchio proprio in vista della necessità di finanziare integralme­nte il servizio: tra 2007 e 2012 il peso medio della tassa è aumentato del 17,1%, e anche nel panorama territoria­le spicca l’eccezione campana con aumenti medi del 48,5 per cento.

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