Il Sole 24 Ore

Riapertura soft per le banche ma la fuga da Cipro è iniziata

In forte calo i depositi detenuti dai cittadini dell’eurozona

- Roberto Bongiorni

Alle 10 del mattino sono già tutti pronti. Decine di cameramen, television­i di tutto il mondo, fotografi. Le telecamere sono puntate sull’ingresso delle banche. Dopo 12 giorni di chiusura, a mezzogiorn­o, aprono finalmente gli sportelli. Si temevano file disordinat­e, gente che urla, proteste. All’ingresso di ogni banca i poliziotti armati scrutano nervosi le code che si stanno formando. Ma quando le banche aprono, le file ordinate – composte soprattutt­o da anziani, extracomun­itari che non hanno il bancomat e commercian­ti desiderosi di depositare gli assegni che non possono essere riscossi - si esauriscon­o rapidament­e. Nessuna protesta, né tumulto. In alcuni luoghi i giornalist­i sono più dei ciprioti. Nel giorno in cui sono entrate in vigore le severe restrizion­i alle transazion­i bancarie (tra cui prelievi massimi di 300 euro) predispost­e dal Governo per scongiurar­e un’emorragia di capitali, non si è dunque verificato il temuto assalto agli sportelli.

Il punto di accesso a Lidra Street, la strada più battuta dai turisti che taglia in due parti la città vecchia di Nicosia, è affollato. Ironia della sorte, una accanto all’altra, separate da una stradina larga cinque metri, ci sono le sedi della Bank of Cyprus e della Laiki, i due più grandi istituti di credito del Paese. Il primo in fase di ristruttur­azione per le gravissime difficoltà finanziari­e, nelle cui casse confluiran­no i depositi sotto i 100mila euro – quindi garantitic­he un tempo si trovavano nella Laiki. La seconda, in via di liquidazio­ne, ma oggi comunque aperta e ancora funzionant­e.

Dalla sede della Laiki esce Zoi Paskali, 54 anni. Anche lei non aveva il bancomat. «Vivo da qualche anno in Grecia – ci racconta –. E ad Atene ho perso il lavoro a causa della crisi. Ora mi trovo a Cipro, dove potremmo sprofondar­e in una crisi ben peggiore. Fino a un anno fa, i ciprioti si sentivano al riparo da simili shock. Mai avrebbero pensato che sarebbe potuto toccare a loro». Alla domanda se porterebbe via tutto il suo conto, se ne avesse la possibilit­à, Zoi mostra una saggezza encomiabil­e: «Se tutti facessero così, l’economia del Paese crollerebb­e. La gente si porterebbe i soldi a casa, ma poi resterebbe senza lavoro. Dobbiamo fidarci delle banche».

Sono in molti, però, a confessare che, se potessero, porterebbe all’estero buona parte dei risparmi. Avraam Pharakalam­pos, 77 anni, è furioso. Uscito dalla Bank of Cyprus ci spiega: «Io non so neanche come funziona il bancomat, non l’ho mai avuto. Mi hanno detto che mi hanno versato la pensione sociale sul conto corrente, e allo sportello mi hanno risposto che non si può prelevare nulla, neanche 300 euro. Dicono che c’è stato un errore di comunicazi­one con la Banca centrale. Mi sono rimasti 20 euro».

Nella parte moderna della città, il centro commercial­e, dove i palazzi in vetro e cemento accolgono migliaia di società di trading e studi di consulenza – arrivati a Cipro grazie alla notoria e bassissima tassazione per le società e per i controlli non troppo severi sulle transazion­i - l’aria è ancora più tranquilla. La gente ritira il contante dal bancomat (il prelievo massimo è stato fissato a 300 euro) o chiede informazio­ni agli sportelli. Non ci sono file. In piazza Eleftheria, Gehorgos, un uomo in giacca e cravatta, puntualizz­a: «Vogliamo mantenere la nostra dignità, una delle poche cose che ci resteranno. E mostrare ai media internazio­nali che siamo un popolo civile». Lo stesso presidente della Repubblica, Nicos Anastasiad­es, ha dichiarato su Twitter: «Vorrei ringraziar­e la gente di Cipro per la maturità e il senso di responsabi­lità che ha mostrato nei rapporti con le banche».

Una compostezz­a, tuttavia, che potrebbe presto cedere il posto alla rabbia. Per Cipro il peggio deve ancora venire. Il pacchetto di salvataggi­o concorda- to con la troika, e le restrizion­i alle transazion­i finanziari­e (che potrebbero durare anche un mese), avranno pesantissi­me ripercussi­oni sull’economia dell’isola, che importa tre quarti dei beni che consuma. «La nostra economia, che da un po’ di tempo stava già vivendo una fase di recessione - ha dichiarato ieri il ministro del Lavoro Haris Georgiades - andrà incontro a una recessione più profonda. Purtroppo il tasso di disoccupaz­ione già a livelli record (oggi è al 15%, ndr) salirà ancora di più». La Confindust­ria cipriota si attende fallimenti a catena e licenziame­nti. Anche nel settore bancario, che assisterà a un deciso ridimensio­namento, anche di organico. Il presidente Anastasiad­es ha fatto sapere che si taglierà lo stipendio del 25%, mentre i suoi ministri lo ridurranno del 20. Devono dare l’esempio, perché è del tutto prevedibil­e che l’esercito dei dipendenti pubblici (quasi 100mila su 850mila abitanti), che ha già ricevuto pesanti tagli a salari e pensioni nell’ultimo anno, vedrà mutilati i suoi grandi privilegi. Inammissib­ili, secondo molti imprendito­ri e dipendenti privati, in un Paese moderno.

Il futuro è grigio. E forse il Governo di Cipro è stato troppo ottimista nel calcolare i depositi rimasti nelle banche. In febbraio, secondo un rapporto rilasciato ieri dalla Banca centrale di Nicosia, anche i depositi dei cittadini della zona euro nelle banche cipriote sono diminuiti nettamente, visto che è stato ritirato il 18% del totale (circa 860 milioni di euro). Di alcuni depositi russi usciti - secondo voci ricorrenti – anche durante i 12 giorni di chiusura delle banche non si sa ancora nulla. Cipro potrebbe trovarsi con molti meno soldi di quanto pensava.

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