Google, made in America gli occhiali del futuro
Continua il processo di rilocalizzazione della produzione ad alto valore aggiunto
Occhiali del futuro per vedere oggi la rinascita del manifatturiero a stelle e strisce. Google, il re dei motori di ricerca e di Internet, è diventata l’ultima grande azienda americana a sposare il reshoring, il rimpatrio di attività industriali, unendosi a un elenco che già annovera celebrità della Corporate America quali General Electric e la rivale Apple. Realizzerà il suo Project Glass, occhiali digitali carichi di software e con mini-telecamere comandate a voce, non in Cina ma in un impianto a Santa Clara in California, a due passi dal suo quartier generale californiano di Mountain View.
In una paradossale inversione del fenomeno dell’outsourcing e offshoring, sarà la taiwanese Foxconn a trasferirsi in America per lavorare con Google sul nuovo prodotto. Foxconn, nome di battaglia della Hon Hai Precision Industry, è salita agli onori della cronaca per le cittàfabbriche in Cina e la leadership mondiale nella produzione di elettronica. Il suo principale cliente, non a caso, è Apple, per la quale sforna milioni di iPhone, iPad e iPod. Foxconn, come altre aziende cinesi quali Lenovo, si è imbarcata nel progetto senza difficoltà: stava da tempo pensando di espandere la sua presenza negli Stati Uniti e in particolare a Silicon Valley, testimonianza della ritrovata competitività americana e della forza di un mercato al consumo che premia la vicinanza.
Project Glass ha caratteristiche ideali per l’operazione di re- shoring: una tecnologia complessa che può avvantaggiarsi della prossimità sia ai centri di ricerca e innovazione di Google che alle esigenze dei clienti finali. La produzione iniziale sarà limitata a 8mila esemplari da 1.500 dollari, destinati ai vincitori di un concorso. Il lancio ufficiale è previsto entro l’anno. Alcune componenti verranno sfornate fuori dai confini americani ma l’assemblaggio avverrà comunque sulle coste della California.
Il rimpatrio dell’hi-tech, in passato tra i grandi protagonisti della fuga dall’America in cerca di costi bassi, ha un rilievo particolare. L’anno scorso era stata la ri- vale Apple a fare da apripista: l’azienda annunciò un investimento da cento milioni di dollari per un modello di comuter tutto "made in Usa". Una cifra limitata, certo, come ancora il fenomeno del reshoring. Il cui valore simbolico e d’avaguardia è forte: il chief executive Tim Cook ricevette un immediato invito a presenziare al Discorso sullo Stato dell’Unione di Barack Obama in Congresso. Un discorso, in febbraio, che Obama ha usato per dichiarare la riscossa del manifatturiero una priorirà strategica per il Paese, degna dell’attenzione e degli incentivi della Casa Bianca oltre che dei singoli Stati americani che si contendono i nuovi impianti.
Il ritorno dell’industria, stando ai conti di associazioni specializzate quali Reshoring Now, ha coinvolto finora oltre un centinaio di società grandi e piccole, che hanno riscoperto i meriti dell’economia statunitense aiutata ora anche da un boom nelle risorse energetiche, anzitutto di gas naturale. «È ancora meno di un fiume ma più di qualche goccia» ha riassunto il presidente dell’organizzazione Harry Moser. A fianco dell’hi-tech non mancano altri casi di alto profilo: la General Electric dal 2012 con un investimento da 800 milioni ha riaperto i battenti a Louisville, in Kentucky, per produrre caldaie e elettrodomestici innovativi in precedenza made in China. A un costo del 20% inferiore.