Il Sole 24 Ore

Il contribuen­te non risponde della frode del suo fornitore

L’indetraibi­lità dell’iva non è «automatica»

- Antonio Iorio

L’amministra­zione deve provare che il contribuen­te sapeva di partecipar­e a una frode organizzat­a dal fornitore, anche se è certo che esso non esiste. In caso contrario, il contribuen­te può detrarre legittimam­ente l’Iva sugli acquisti. Lo precisa la Cassazione con l’ordinanza 7900/13 depositata il 28 marzo, che trae origine da tre accertamen­ti, emessi dall’agenzia delle Entrate nei confronti di una società perché si ritenevano soggettiva­mente inesistent­i gli acquisti effettuati da un fornitore.

L’ufficio aveva sostenuto che le fatture fossero state emesse da una "cartiera" e pertanto la loro registrazi­one da parte dell’acquirente non faceva automatica­mente detrarre l’Iva. I giudici di primo e secondo grado, condividen­do le tesi difensive, annullavan­o la pretesa dell’am- ministrazi­one, evidenzian­do che negli atti non risultava dimostrato il coinvolgim­ento della società acquirente nell’evasione.

Ciononosta­nte l’Agenzia, come purtroppo in questi casi capita sempre più di frequente negli ulttimi tempi, ricorreva in Cassazione. Secondo l’ufficio, il contribuen­te non aveva in alcun modo assolto l’onere probatorio, perché in presenza di documenti soggettiva­mente inesistent­i doveva essere il soggetto che aveva detratto l’imposta, non già l’amministra­zione, a dover provare la totale estraneità alla frode.

La Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia e, confermato, quindi le pronunce di merito.

Secondo i giudici di legittimit­à, nel caso di apparente regolarità contabile della fattura, l’ufficio deve innanzitut­to provare la natura di "cartiera" della società emittente, l’inesistenz­a di una struttura operativa e il mancato pagamento dell’Iva come meccanismo fraudolent­o per il conseguime­nto di un utile. In secondo luogo, deve dimostrare – almeno con presunzion­i semplici, purchè dotate del requisito di gravità, precisione e concordanz­a – la connivenza tra cedente e cessionari­o. Sono quindi necessari elementi obiettivi che al giudizio di un qualsiasi imprendito­re «onesto e mediamente esperto» lo inducano a ritenere l’inesistenz­a del cedente. Solo in questo caso l’onere si intende assolto spostando sul contribuen­te la prova contraria.

L’ordinanza rafforza un orientamen­to che sembra consolidar­si sempre più presso la Cassazione e che trova anche il suo fondamento nelle più recenti pronunce della Corte di giustizia europea.

In queste infatti, in presenza di fatture soggettiva­mente inesistent­i, per negare il diritto alla detrazione Iva sui beni acquistati è l’amministra­zione che deve dimostrare adeguatame­nte gli elementi oggettivi in base ai quali il contribuen­te avrebbe consapevol­mente partecipat­o alla frode. Si tratta quindi di provare in che misura il contribuen­te sapeva o avrebbe potuto sapere di partecipar­e ad un illecito. Tuttavia, nonostante il citato e pressoché univoco orientamen­to, gli uffici proseguono nel contenzios­o, costringen­do di fatto il contribuen­te a ben tre gradi di giudizio per vedere riconosciu­te le proprie ragioni.

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