Il contribuente non risponde della frode del suo fornitore
L’indetraibilità dell’iva non è «automatica»
L’amministrazione deve provare che il contribuente sapeva di partecipare a una frode organizzata dal fornitore, anche se è certo che esso non esiste. In caso contrario, il contribuente può detrarre legittimamente l’Iva sugli acquisti. Lo precisa la Cassazione con l’ordinanza 7900/13 depositata il 28 marzo, che trae origine da tre accertamenti, emessi dall’agenzia delle Entrate nei confronti di una società perché si ritenevano soggettivamente inesistenti gli acquisti effettuati da un fornitore.
L’ufficio aveva sostenuto che le fatture fossero state emesse da una "cartiera" e pertanto la loro registrazione da parte dell’acquirente non faceva automaticamente detrarre l’Iva. I giudici di primo e secondo grado, condividendo le tesi difensive, annullavano la pretesa dell’am- ministrazione, evidenziando che negli atti non risultava dimostrato il coinvolgimento della società acquirente nell’evasione.
Ciononostante l’Agenzia, come purtroppo in questi casi capita sempre più di frequente negli ulttimi tempi, ricorreva in Cassazione. Secondo l’ufficio, il contribuente non aveva in alcun modo assolto l’onere probatorio, perché in presenza di documenti soggettivamente inesistenti doveva essere il soggetto che aveva detratto l’imposta, non già l’amministrazione, a dover provare la totale estraneità alla frode.
La Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia e, confermato, quindi le pronunce di merito.
Secondo i giudici di legittimità, nel caso di apparente regolarità contabile della fattura, l’ufficio deve innanzitutto provare la natura di "cartiera" della società emittente, l’inesistenza di una struttura operativa e il mancato pagamento dell’Iva come meccanismo fraudolento per il conseguimento di un utile. In secondo luogo, deve dimostrare – almeno con presunzioni semplici, purchè dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza – la connivenza tra cedente e cessionario. Sono quindi necessari elementi obiettivi che al giudizio di un qualsiasi imprenditore «onesto e mediamente esperto» lo inducano a ritenere l’inesistenza del cedente. Solo in questo caso l’onere si intende assolto spostando sul contribuente la prova contraria.
L’ordinanza rafforza un orientamento che sembra consolidarsi sempre più presso la Cassazione e che trova anche il suo fondamento nelle più recenti pronunce della Corte di giustizia europea.
In queste infatti, in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, per negare il diritto alla detrazione Iva sui beni acquistati è l’amministrazione che deve dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi in base ai quali il contribuente avrebbe consapevolmente partecipato alla frode. Si tratta quindi di provare in che misura il contribuente sapeva o avrebbe potuto sapere di partecipare ad un illecito. Tuttavia, nonostante il citato e pressoché univoco orientamento, gli uffici proseguono nel contenzioso, costringendo di fatto il contribuente a ben tre gradi di giudizio per vedere riconosciute le proprie ragioni.