Il Sole 24 Ore

Per l’iva omessa sanzioni anacronist­iche

- Di Andrea Carinci

La crisi economica mette in difficoltà il sistema; anche quello sanzionato­rio. Ciò, non tanto perché in tempi di difficoltà il deterrente delle sanzioni è annacquato nella morsa della necessità: il rischio di una futuribile sanzione è, insomma, inevitabil­mente meno impellente della sopravvive­nza quotidiana dell’impresa. Piuttosto perché in tempi di crisi, per definizion­e straordina­ri, gli ordinari strumenti di contrasto a comportame­nti illeciti finiscono per apparire irrimediab­ilmente anacronist­ici.

È quanto accade nel caso di mancato versamento dell’Iva dichiarata, sanzionato dall’articolo 10-ter del decreto legislativ­o 74/2000, in base al quale è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi, per un ammontare superiore a 50mila euro per periodo d’imposta, l’Iva dovuta in base alla dichiarazi­one annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (27 dicembre).

Tradiziona­lmente, la norma trae fondamento dall’assunto che l’Iva dichiarata altro non è che Iva addebitata dall’operatore ai propri cessionari/committent­i; di conseguenz­a, analogamen­te all’ipotesi gemella dell’articolo 10-bis (omesso versamento di ritenute certificat­e), da cui mutua i profili struttural­i, la sanzione sarebbe diretta a contrastar­e i comportame­nti d’indebita ritenzione di un’imposta da riversare allo Stato. È evidente, però, che una simile sanzione diventa iniqua se non irrazional­e quando, come sempre più spesso accade, l’Iva fatturata non è anche Iva incassata entro il termine (forse congruo in tempi ordinari, ma che oggi, in piena crisi, lo è sempre meno) prescritto per il versamento. Anche perché, non si può dimenticar­e, l’omesso pagamento non consente la nota di variazione ai fini Iva (articolo 26 del Dpr 633/72), se non all’esito di procedure concorsual­i o esecutive rimaste infruttuos­e. Si viene così a determinar­e una situazione paradossal­e, in cui si rischia di sanzionare il mancato anticipo allo Stato dell’Iva addebitata, ma non pure incassata, dall’operatore: una situazione, questa, ben diversa da quella dell’omesso versamento di ritenute certificat­e, dove effettivam­ente vi sono somme dovute all’Erario, indebitame­nte trattenute. Da qui, la convinzion­e di un necessario ripensamen­to del reato di omesso versamento dell’Iva dichiarata, che va oltre le aperture della giurisprud­enza sul problema della crisi di liquidità (Tribunale Firenze del 10 agosto 2012), per investire la razionalit­à stessa della norma in una fase, come quella attuale, dove minaccia addirittur­a di intaccare la neutralità dell’Iva.

Peraltro, la criticità evidenziat­a non appare risolta neppure dalla nuova Iva per cassa (articolo 32-bis del Dl 83/2012), che - di fatto - allunga solo il termine del versamento. L’imposta è comunque esigibile decorso un anno dall’effettuazi­one dell’operazione, salvo che il cessionari­o/committent­e sia assoggetta­to a procedure concorsual­i: un’ipotesi, questa, che rischia così di diventare una "strada obbligata" per scongiurar­e l’applicazio­ne della sanzione penale. Ma anche questo appare irrazional­e.

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