Il Sole 24 Ore

Google non responsabi­le dei risultati da algoritmo

Il «suggerimen­to» non è lesivo

- Andrea Biondi

Google non ha la responsabi­lità per i suggerimen­ti dati con le funzioni Autocomple­te e Ricerche correlate. Questi strumenti «non costituisc­ono un archivio, né sono strutturat­i, organizzat­i o influenzat­i da Google che tramite un software automatico, si limita ad analizzarn­e la popolarità e a rilasciarl­i sulla base di un algoritmo». Vittoria importante per Mountain View in Italia, che grazie a un’ordinanza del Tribunale di Milano in sede civile segna un punto importante sul fronte del riconoscim­ento delle responsabi­lità dei provider.

Il Tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di danni da parte di un imprendito­re, presidente di due associazio­ni no profit, nei confronti di Google. Digitando il proprio nome o quello della fondazione da lui presieduta, il ricorrente aveva constatato l’associazio­ne del proprio nome o di quello dell’ente ai termini «truffa», «truffatore», «plagio» e «setta». Alla richiesta diretta di intervento da parte di Google – accolta solo in parte eliminando l’accostamen- to coi termini «truffa» e «truffatore» – è seguito il ricorso al Tribunale. Per Google, scrive il Tribunale, è da escludere «la qualità di content provider», ma si può parlare di attività di catching, svolta «senza che il prestatore di servizio sia responsabi­le del contenuto di tali informazio­ni». L’accostamen­to «di termini in una stringa – si legge – non costituisc­e un’affermazio­ne, bensì un suggerimen­to». Due anni fa un ricorso, presentato sempre a Milano, aveva dato esito opposto. «All’utente medio - commenta Gianluigi Marino dello studio legale Dla Piper – è attribuita una conoscenza del mezzo, e quindi del servizio, che due anni fa non era evidenteme­nte riconosciu­ta».

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