«Abbiamo puntato sui social network»
Le aziende che fanno rotta sull’India spesso lo fanno attratte dal fatto che la popolazione supera ormai gli 1,2 miliardi. Per Artsana - una società specializzata in prodotti per l’infanzia con i marchi Chicco, Boppy e Prénatal - il Subcontinente ha un’attrattiva ulteriore: gli indiani sono uno dei popoli più giovani della Terra. Il Paese è pieno di bambini e di adulti in età fertile che guardano al futuro con più ottimismo dei loro coetanei nei Paesi sviluppati. «Con queste premesse, un’azienda come la nostra non poteva non esserci», spiega Pasquale Coppolella, director del Baby Care per la società comasca.
Quando siete entrati in India con il marchio Chicco?
«Abbiamo iniziato a studiare il mercato nel 2009 affidandoci a dei consulenti indiani. Abbiamo dato il via alle operazioni nel 2010 e iniziato a fare pubblicità in tv nel 2011».
Come si articola la vostra presenza nel Paese?
«Abbiamo una sede - tra l’altro di nostra proprietà - a Gurgaon, fuori Delhi e una dozzina di negozi monomarca nelle principali città dell’India: New Delhi, Mumbai, Bangalore, Chennai, Kolkata, Hyderabad e Pune. Inoltre lo scorso anno abbiamo distribuito i nostri prodotti in 2mila negozi, quest’anno l’obiettivo è di salire a 5mila punti vendita».
Il mix di prodotto che vendete in India è diverso da quello nel resto del mondo?
«Sì, in India abbiamo una forte predominanza del segmento nursing, ovvero cosmetici, biberon e succhietti, che complessivamente valgono circa il 45% delle nostre vendite. Normalmente questa voce rappresenta solo il 25% del nostro fatturato. Passeggini, seggioloni e seggiolini-auto in India valgono poco, direi il 15% contro il 35% del resto del mondo; i giocattoli circa il 21%, l’abbigliamento il 17% e le scarpe meno del 2%».
Producete localmente o importate?
«Facciamo entrambe le cose. Lo scorso anno abbiamo iniziato a produrre in India biberon e cosmetici, i primi sono identici a quelli che vendiamo nel resto del mondo, mentre i secondi hanno essenze che usiamo solo sul mercato indiano. Poi siamo passati, in parte, a scarpe e abbigliamento, customizzando quest’ultimo per il mercato locale. Le cose che importiamo come i passeggini, complici i dazi doganali, si collocano nella fascia superpremium del mercato».
Televisione a parte che strategie di marketing avete utilizzato?
«Abbiamo puntato su riviste rivolte alle madri, fatto opera di proselitismo negli ospedali di fascia alta e offerto training alle future mamme. Ma l’iniziativa di maggior successo è stato l’ingresso sui social network. È stato il management locale a premere in questa direzione e ha funzionato in maniera impressionante».
Molte aziende occidentali faticano a entrare sul mercato indiano, è successo anche a voi?
«Sì, i tempi per ottenere le autorizzazioni possono essere lunghi. Burocrazia e dogane, specie all’inizio, hanno rallentato e appesantito la nostra partenza. Adesso le cose vanno meglio e siamo felici di esserci».