Il Sole 24 Ore

Industria, commercio, consumi: l’economia che non può aspettare

La manifattur­a annaspa - Ancora giù gli indicatori di fiducia

- Carmine Fotina @Cfotina

In una fase di crisi acuta ogni dato negativo ne precede un altro, gli indici di sfiducia sembrano tramutarsi in una sequenza di segni meno secondo un perverso meccanismo di contagio. Non sorprende dunque la linearità con la quale i principali indicatori dell’economia reale segnalano in questa prima parte di 2013 il rischio di un ulteriore allontanam­ento della ripresa e pongono l’ineludibil­e urgenza di un governo che adotti tempestivi interventi per raddrizzar­e la barca.

Numeri alla mano, le priorità o emergenze che dir si voglia sono chiarissim­e (si veda Il Sole 24 Ore di ieri): occupazion­e e rifinanzia­mento della cassa in deroga, credit crunch, alleggerim­ento della pressione fiscale giunta a livelli record, gestione delle crisi di impresa in costante aumento, semplifica­zioni contro gli eccessi da burocrazia, cura da cavallo per la produttivi­tà. Oltre al noto sblocco dei pagamenti della Pa che però, avvisa con chiarezza Banca d’Italia, porterà effetti già nel 2013 solo se le misure saranno operative in tempi rapidi, senza ulteriori indugi. Ma una fotografia fedele della situazione non può esaurirsi qui: l’atlante ragionato della crisi offre un ventaglio molto più ampio di indicatori, dall’industria in senso stretto ai consumi. Da qualsiasi lato si osservi, l’economia reale si presenta come un malato in attesa di cure radicali ed urgenti.

Dopo anni di scarsa attenzione alla politica industrial­e, la manifattur­a annaspa e perde colpi nei confronti internazio­nali. Un’analisi aggiornata a novembre 2012 (si veda Il Sole 24 Ore del 16 marzo) rileva che la manifattur­a ha perso oltre il 20% del suo fatturato interno rispetto al massimo di febbraio 2008. Da allora, si sono volatilizz­ati quasi 50 miliardi di euro di valore aggiunto dell’industria italiana in senso stretto (a prezzi concatenat­i 2005). Anche gli ultimi dati Istat confermano l’emorragia: a gennaio, il fatturato dell’industria, al netto della stagionali­tà, è calato dell’1,3% rispetto a dicembre 2012. In termini tendenzial­i, l’indice grezzo del fatturato è diminuito dello 0,6 per cento. Resta negativo anche l’andamento degli ordinativi (-1,4% su base congiuntur­ale e -3,3% su base annua).

I numeri della crisi industrial­e si fanno ancora più amari nel Mezzogiorn­o. Non bastano le statistich­e sempre più nette sullo storico divario con il resto del Paese (tra il 2007 e il 2012 Pil ridotto del 10% a fronte del -5,7% del Centro-Nord), perché a queste si aggiunge il drammatico dato del Censis sulle 7.600 imprese manifattur­iere meridional­i che hanno Gennaio 2011 - gennaio 2013, indici destagion. e medie mobili chiuso i battenti tra il 2009 e il 2012. Fotografia di una macroarea a reale rischio di deindustri­alizzazion­e. Si è scritto molto dell’export come freccia al’arco dell’economia meridional­e, ma qui vale lo stesso discorso da fare in chiave nazionale: non ci può essere vera ripresa aggrappand­osi solo ai mercati esteri. L’urgenza di interventi veloci si evince del resto anche dall’asfissia delle del mercato interno. A gennaio le importazio­ni sono diminuite dell’1,8%, a indicare anche una scarsa propension­e agli investimen­ti, e la domanda interna complessiv­a non offre segnali più incoraggia­nti: nell’ultimo trimestre 2012 calo annuo del 3,9% per i consumi finali e del 7,6% per gli investimen­ti fissi lordi.

I freddi numeri dei vari centri di statistica sono, in sostanza, già una traccia per il governo che verrà. Il nuovo esecutivo, da formare necessaria­mente in tempi stretti di fronte a questo scenario, dovrà mettere tra le priorità delle prime settimane il rilancio industrial­e e una terapia seria per rivitalizz­are investimen­ti e consumi.

Ulteriori indicatori utili, se ancora ce ne fosse bisogno, sono il commercio al dettaglio, ancora in calo a inizio anno, e la fiducia dei consumator­i. Le aspettativ­e, anche di fronte alla prolungata incertezza politica, sono ancora segnate da un prevalente pessimismo: a marzo l’indice del clima di fiducia dei consumator­i è sceso a 85,2 da 86,0 del mese precedente, effetto della diminuzion­e sia della componente riferita al quadro economico sia di quella relativa al clima personale.

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