Il Sole 24 Ore

L’estrema pressione del Quirinale per piegare le resistenze dei partiti

-

Del resto, occorre convincers­i di un punto: quando un presidente della Repubblica mette in gioco in modo così esplicito se stesso, la propria autorità istituzion­ale, vuol dire che siamo di fronte a un passaggio del tutto eccezional­e. E la risposta delle forze politiche (tutte, destra e sinistra) dovrà essere adeguata. Perché il capo dello Stato, nel nostro ordinament­o, ha di solito uno strumento principe per piegare i partiti: la minaccia di elezioni anticipate. Quando tale strumento non c’è, ossia nel semestre bianco, il capo dello Stato può premere sui recalcitra­nti adombrando una sola altra arma: le proprie dimissioni. Che provochere­bbero un improvviso vuoto al vertice dello Stato ta- le da obbligare tutti (almeno così si suppone) a prendere coscienza delle proprie responsabi­lità.

Sappiamo quale alto punto di equilibrio abbia rappresent­ato negli anni e soprattutt­o in questi ultimi mesi la presidenza di Napolitano: tanto più importante quanto più si avvitava la crisi del sistema politico. Se il "no" dei partiti provocasse la sua uscita di scena, nessuno può prevedere cosa avverrebbe. O forse sì: un "far west" parlamenta­re nell’impossibil­ità di individuar­e qualsiasi accordo sul nome del successore. Alla fine un’intesa si troverebbe, ma a quale prezzo per la credibilit­à del Paese nel mondo e per la stabilità dell’economia?

Giusto ieri un portavoce della Casa Bianca ricordava quale sia la rilevanza dell’Italia nell’assetto internazio­nale. Un collasso istituzion­ale, con un presidente stimato che abbandona la scena denunciand­o di fatto la paralisi del sistema, avrebbe conseguenz­e dirompenti nella politica e sui mercati. E in queste ore, mentre si tirano le somme delle rapide consultazi­oni, tutti avranno modo di riflettere e di trarre le proprie conclusion­i. Il governo fondato su un patto politico, ossia la grande coalizione Pdl-Pd, è un’ipotesi non agibile. La scelta di costituire un altro esecutivo tecnico è respinta senza esitazioni dal centrodest­ra.

Cosa resta allora? La carta più importante, figlia dell’impegno personale di Napolitano: non un esecutivo tecnico, anche se c’è chi ha interesse a qualificar­lo tale. Quello che i gior- nali chiamano il «governo del presidente» è in sostanza un equilibrio definito dallo sforzo straordina­rio di mediazione del capo dello Stato, da lui sostenuto con il suo prestigio e affidato a una figura di indiscutib­ile profilo istituzion­ale. Un simile esecutivo sarebbe molto interno alle istituzion­i proprio per l’identità del suo conduttore, nonché per la scelta dei ministri nel rispetto delle diverse aree politiche.

Quanti passi avanti ha fatto nelle ultime ore questa ipotesi, l’unica in grado di appellarsi all’interesse generale? Per la verità siamo ancora in alto mare. Certo, le parole di Enrico Letta sono state incoraggia­nti, laddove ha dichiarato che il Pd si mette senza indugi nelle mani del capo dello Stato e accetta le sue valutazion­i, purché non si parli di «go- vernissimo». Anche Alfano ha fiducia in Napolitano, se però non dà ragione a Letta e al Pd. Si chiamano veti incrociati e più di una nazione è crollata vittima della tenaglia. Tuttavia, come si dice, l’alba è vicina quando la notte è più buia. Napolitano è ancora deciso, nonostante le amarezze, a ottenere il via libera dei partiti sul suo schema. Ma occorrerà uno sforzo di fantasia, immaginare un esecutivo costruito intorno a una miscela inedita di politica e istituzion­i.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy