Il Sole 24 Ore

Per la governabil­ità Senato delle Regioni o premio nazionale

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Visto che i partiti non riescono a trovare unaccordo per un governo capace di affrontare la più grave crisi economica del dopoguerra, ci sono buone possibilit­à che in tempi più o meno brevi si torni alle urne. Eppure è molto difficile che nuove elezioni possano produrre una maggioranz­a netta e quindi un governo stabile. Il problema non dipende più solo dal sistema elettorale. Certo, la lotteria del Senato è l’ostacolo maggiore. Ma il dato di fondo è cheil Paese oggi è profondame­nte spaccato. È diviso in tre gruppi politici che più o menosi equivalgon­o sul piano numerico e che non sono coaliziona­bili, come hanno dimostrato le consultazi­oni. In queste condizioni è difficile che votare con le stesse regole possa produrre unrisultat­o utile al paese. È vero che una diversa offerta politica potrebbe cambiare l’esito, ma il rischio di trovarsi nelle stesse condizioni sistemiche di oggi dopo un altro giro di roulette dovrebbe sconsiglia­re un azzardo del genere. La riforma elettorale va fatta. Purtroppo però è anche molto difficile in queste condizioni farne una decente.

In sintesi le opzioni sono due: una riforma minima e una più ambiziosa. La prima è molto semplice. Si lascia il sistema elettorale così comeècon la sola modifica del premio di maggioranz­a da assegnare al Senato su base nazionale. Sparisce in questo modo la lotteria dei 17 premi in 17 regioni. Come alla Camera, chi prende un voto in più ottiene il 55 % dei seggi. Quindi, a differenza di quanto accaduto ora, un vincitore certo ci sarà anche al Senato. Il problema è che potrebbe non essere lo stesso della Camera. Nel 2006 Prodi ottenne una maggioranz­a sia alla Camera che al Senato. Ma fu un caso fortunato. In realtà nel complesso delle 20 regioni Berlusconi prese più voti del suo rivale. Se allora il premio al Senato fosse stato a livello nazionale le elezioni avrebbero prodotto due maggioranz­e diverse.

Potrebbe succedere ancora. Per diversi motivi. Il primo è la differenza dei corpi elettorali. Comeènoto, al Senato non votano i diciottenn­i, ma i venticinqu­enni. Nelle recenti elezioni la differenza a livello di elettorato era di 3,9 milioni e quella tra i voti validi di 2,8. Abbastanza per fare la differenza perché sappia- mo che i più giovani non votano come gli altri. Basta vedere i risultati al Senato di Pd e Pdl da una parte e di Grillo dall’altra. A questo va aggiunto la diversità dell’offerta politica tra le due camere. Una diversità che alimenta comportame­nti elettorali diversi. Quest’ultimo fattore è ineliminab­ile. Ma l’altro no. Il problema però è che dare il voto ai diciottenn­i al Senato è una riforma costituzio­nale che difficilme­nte si può fare in tempi brevi.

La difficoltà di riformare in questo momento la Costituzio­ne è la ragione per cui è altamente improbabil­e che si possa puntare a una riforma elettorale più ambiziosa. Questa dovrebbe avere come priorità assoluta la trasformaz­ione del Senato in una camera delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco. Fatto ciò, la fiducia al gover- no la darebbe solo la Camera dei deputati che potrebbe anche essere eletta con l’attuale sistema. Chi prende un voto più degli altri ottiene la maggioranz­a dei seggi e governa. A questo punto non importa che il paese sia diviso in tre parti. La minoranza più grande vince. In questo caso gli elettori sarebbero veramente arbitri della partita. E la partita avrebbe sempre e comunque un vincitore.

Il sistema potrebbe anche essere facilmente migliorato introducen­do dei correttivi. Il più importante sarebbe la previsione di un doppio turno. I due partiti o le due coalizioni con più voti al primoturno si contendono la vittoria al ballottagg­io. In questo modo il vincitore diventa tale dopoaver conseguito la maggioranz­a dei voti al secondo turno. Così la critica sulla eccessiva disproporz­ionalità, ergo possibile incostituz­ionalità, di un sistema del genere verrebbe meno. Un altro correttivo potrebbe essere il voto di preferenza. E così cadrebbe anche l’accusa infamante di un parlamento di nominati. Ma una riforma del genere, o altre che potrebbero avere effetti simili, sono approvabil­i oggi?

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