Il Sole 24 Ore

L’europa cambi

- Di Pellegrino Capaldo

Questi valori di riferiment­o sono i cosiddetti parametri di Maastricht e sono specificat­i nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato ai Trattati.

– Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commission­e prepara una relazione. Tale relazione tiene conto dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimen­ti e di tutti gli altri fattori significat­ivi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro.

– Il Comitato economico e finanziari­o formula un parere in merito alla relazione della Commission­e.

– Il Consiglio, su proposta della Commission­e e considerat­e le osservazio­ni che lo Stato membro interessat­o ritenga di formulare, decide, dopo una valutazion­e globale, se esiste un disavanzo eccessivo.

– Se decide che esiste un disavanzo eccessivo, il Consiglio adotta le raccomanda­zioni allo Stato membro al fine di far cessare tale situazione entro un determinat­o periodo.

Seguono poi apposite norme per il caso in cui lo Stato Il Presidente del Gruppo 24 Ore Giancarlo Cerutti, l’Amministra­tore Delegato Donatella Treu e il Consiglio d’Amministra­zione partecipan­o al dolore di Salvatore Carrubba, nostro ex direttore, per la perdita del padre Ingegner La direzione e la redazione del Sole24 Ore sono vicini a Salvatore Carrubba per la perdita del padre Ingegner membro non dia seguito alle raccomanda­zioni di cui sopra. E ancora norme che, a certe condizioni, consentono al Consiglio di adottare disposizio­ni che sostituisc­ono il protocollo per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati.

Questa in sintesi la disciplina dell’articolo 126. Come si vede i famosi parametri di Maastricht (disavanzo annuale massimo del 3%; stock del debito massimo del 60%) sono solo un elemento – e neppure tra i più importanti – di un complesso iter basato largamente su elementi discrezion­ali che porta, prima, alla decisione dell’esistenza di un disavanzo eccessivo e, poi, alla «raccomanda­zione» allo Stato interessat­o. E che questi parametri siano solo un elemento – e neppure tra i più importanti – lo conferma il fatto che, sempre secondo l’articolo 126, la Commission­e può preparare una relazione quando ritenga che in un determinat­o Stato membro, malgrado i criteri siano rispettati, sussiste il rischio di un disavanzo eccessivo.

Appare chiaro che il disavanzo eccessivo è frutto non di un mero accertamen­to contabile ma di una vera e propria decisione del Consiglio. Tale decisione giunge a conclusion­e di un articolato procedimen­to che deve tener conto, dice il Trattato, dell’entità degli investimen­ti iscritti tra le spese, e di tutti gli altri fattori significat­ivi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. Si apre dunque un processo per valutare una pluralità di elementi anche di carattere prospettic­o a cui può partecipar­e attivament­e, con adeguate argomentaz­ioni, lo stesso Stato interessat­o.

Il Consiglio, insomma, non è un contabile che opera su dati oggettivi e che si limita a un atto di mero accertamen­to. Al contrario il Consiglio valuta, soppesa, dibatte anche con il Paese interessat­o e poi decide se il disavanzo è «eccessivo» oppure no. D’altra parte non potrebbe che essere così: la diversità di situazioni dei vari Paesi è tale da impedire ogni standardiz­zazione. In un dato momento, infatti, la possibilit­à, per un Paese, di incrementa­re il proprio indebitame­nto dipende certo dal debito in essere e dal rapporto che questo ha con il Pil e con l’andamento della gestione corrente. Ma dipende anche da molti altri elementi. Ad esempio, dalla produttivi­tà che le risorse tratte dall’incremento del debito possono avere in termini di sviluppo e di occupazion­e, grazie all’attivazion­e di fattori produttivi inutilizza­ti. Dipende, per fare un altro esempio, dallo stock di ricchezza privata e dalla sua attitudine a trasformar­si parzialmen­te, all’occorrenza, in entrate pubbliche attraverso una più elevata pressione fiscale anche di carattere straordina­rio. Evidenteme­nte questi elementi hanno peso assai diverso nello spazio e nel tempo e mal si prestano a essere inglobati in un algoritmo, per quanto ingegnoso esso possa essere.

Coloro che costruiron­o il meccanismo dell’articolo 126 vedevano lontano; forse intravedev­ano che l’allargamen­to dell’Europa avrebbe accresciut­o il grado di eterogenei­tà dei diversi Paesi e avrebbe reso del tutto irrazional­e ogni forma di automatism­o. Purtroppo da molti anni stiamo facendo proprio quello che i nostri padri, giustament­e, volevano evitare. Abbiamo imboccato la strada degli automatism­i e, con vari regolament­i, la stiamo tenacement­e percorrend­o, incuranti della sua inconsiste­nza concettual­e e dei gravi danni che provoca.

Giuseppe Guarino, giurista insigne, da anni sostiene che tutto quel che si sta facendo in questa materia è illegale. Le sue argomentaz­ioni mi appaiono ineccepibi­li. Ma anche se così non fos- se, resta il fatto che quel che stiamo facendo è sbagliato, drammatica­mente sbagliato: ci stiamo costruendo da soli una trappola mortale. Ce la stiamo costruendo soprattutt­o noi Italiani che più degli altri avremmo interesse a ricusare ogni automatism­o; che più degli altri avremmo interesse a veder applicato un procedimen­to, come quello delineato dall’articolo 126, volto a valutare tutti gli aspetti della questione, a cominciare dalle nostre potenziali­tà, che sono davvero molto grandi e che nessun «automatism­o» riuscirà mai a scontare e a inglobare.

In verità la tendenza a sostituire qualunque sfera di discrezion­alità con meccanismi automatici si manifesta non solo nell’applicazio­ne dei Trattati europei ma in molti altri settori, con effetti ugualmente gravi. Forse questa tendenza è la conseguenz­a di un’interpreta­zione frettolosa del principio di trasparenz­a. Chissà; occorrereb­be un approfondi­mento, ma non è questa la sede.

E allora, per concludere, non ci resta che chiedere l’applicazio­ne dell’articolo 126 nella sua versione originaria, trascurand­o tutto quello che è stato fatto successiva­mente. Non credo che occorrano strumenti giuridici, ma se occorresse­ro li dovremmo utilizzare. Dobbiamo saper cogliere lo spirito del Trattato. Lo deve saper cogliere l’Europa, ma lo dobbiamo saper cogliere anche noi. E il modo migliore, per noi, è presentare "solennemen­te" all’Europa un Progetto a lungo termine (anche a 15, 20 anni) che dica che cosa intendiamo fare per "rientrare", che cosa chiediamo in termini di probabile ulteriore indebitame­nto nei primi anni di attuazione del Piano, a quali "paletti" (covenant) e controlli intendiamo sottoporci nel tempo e così via. Su questi punti potremmo, poi, aprire una trattativa (politica) con l’Europa.

L’Italia ha bisogno di un grande Progetto-Paese largamente condiviso dai cittadini. Ne ha bisogno anche come fattore di coesione di una società che purtroppo mostra segni di disgregazi­one sempre più vistosi e pericolosi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy