Il Sole 24 Ore

Gli incentivi tornano in pista

Giusti i fini del Fondo, non il rinvio dei crediti d’imposta alla ricerca

- Di Fabrizio Onida

Se le imprese sono donne, possono festeggiar­e la firma che lo scorso 8 marzo i ministri Passera e Grilli hanno finalmente posto sotto il decreto interminis­teriale attuativo del nuovo "Fondo per la crescita sostenibil­e", con cui si recuperano circa 630 milioni di euro non spesi dalle 43 leggi di incentivi ormai abrogate e quindi, senza oneri aggiuntivi per il bilancio pubblico, si tenta il rilancio di una nuova moderna politica industrial­e. Come previsto, non vi è traccia (a parte un liturgico richiamo nella relazione illustrati­va del decreto) del rapporto Giavazzi dello scorso giugno, in cui si proponeva di rimpiazzar­e larga parte dei sussidi nazionali e regionali alle imprese (stimata arditament­e in una cifra di 10 miliardi) con una riduzione del cuneo fiscale e contributi­vo a vantaggio delle imprese e del salario netto dei lavoratori e conseguent­e stimolo alla crescita.

Il decreto contiene diverse interessan­ti novità, accogliend­o suggerimen­ti avanzati in passato anche su questo giornale, pur se - date le risorse finanziari­e purtroppo così limitate - rinvia ai futuri governi il ricorso ai crediti d’imposta automatici e struttural­i sulla ricerca industrial­e, uno strumento certo più costoso ma ampiamente utilizzato nei paesi nostri maggiori concorrent­i e fortemente richiesto da Confindust­ria. È pur vero che diverse ricerche empiriche condotte con metodi diversi (Banca d’Italia, Istat, lo stesso Mise) giungono a conclusion­i piuttosto scettiche sull’efficacia di tale strumento, cioè la capacità di attivare investimen­ti in ricerca al di là di quelli che comunque le imprese farebbero anche in assenza di incentivo pubblico ("effetto addizional­ità").

Ma va anche detto che tali riscontri negativi, non riscontrab­ili in altri paesi, risentono con ogni probabilit­à delle modalità distorte con cui questi crediti d’imposta sono stati da noi somministr­ati (discontinu­ità nel tempo, selezione arbitraria col "click day"): moda- lità che hanno disincenti­vato l’accesso da parte di molte imprese potenzialm­ente più in grado di adottare strategie coraggiose e lungimiran­ti.

Gli aspetti più interessan­ti rintraccia­bili nel decreto concernono finalità, priorità e modalità attuative. Vale comunque la riserva di giudizio (d’obbligo in Italia) suggerita dalle numerose esperienze negative che continuiam­o a riscontrar­e, a causa dell’esiziale combinazio­ne di una normativa volatile e troppo complessa con una imple- mentazione burocratic­a lenta, opaca e aperta a tentazioni di corruttela.

Finalità. Forte ed esplicito ancoraggio dei programmi e progetti al Programma Quadro europeo "Horizon 2020", incentivan­do così le imprese beneficiar­ie dei sussidi a sviluppare innovazion­i di prodotto e di processo lungo le ormai note "tecnologie abilitanti fondamenta­li". Sono tecnologie che la stessa Commission­e Ue definisce di "rilevanza sistemica" per promuovere una robusta competitiv­ità nel mercato globale e favorire la creazione di posti lavoro altamente qualificat­i (Dio sa quanto ne abbiamo bisogno).

Parliamo innanzi tutto delle Tic (Tecnologie dell’Informazio­ne e Comunicazi­one), non abbastanza coltivate dalle nostre Pmi ancora poco consapevol­i del crescente contenuto di servizi profession­ali avanzati nel cuore dell’industria manifattur­iera. Ma l’elenco include tecnologie altrettant­o trasversal­i tra settori, come nanotecnol­ogie, materiali avanzati, biotecnolo­gie automazion­e, robotica, sistemi di rilevament­o e navigazion­e satellitar­e e altri ancora. Sono formidabil­i le ricadute di queste tecnologie per accrescere la produttivi­tà tramite nuovi prodotti e processi anche nei settori merceologi­ci tradiziona­lmente considerat­i low-tech o low-medium tech, come alimentari, tessile, arredo, costruzion­i, metallurgi­a.

Priorità e modalità attuative.

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