Corea: missili puntati sugli Usa
L’allerta alle unità balistiche in risposta all’invio di bombardieri americani Stealth nell’area Annuncio di Kim Jong-un ma Cina e Russia invitano l’alleato alla calma
Pronti al lancio, ha ordinato Kim Jong-Un, il giovane Dottor Stranamore con gli occhi a mandorla che dice di avere sotto tiro con i missili a testata nucleare anche gli Stati Uniti. L’ordine d’allerta del leader nordcoreano alle unità balistiche, puntate sulle basi Usa nel Pacifico, è stato deciso in risposta all’invio di bombardieri americani Stealth alle manovre militari congiunte con Seul, denominate da anni - per misteriosa consuetudine - "Foal Eagle", Aquila Incinta.
Le reazioni di Russia e Cina indicano grande apprensione. Il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha messo in guardia da un’escalation che può innescare un «circolo vizioso», Pechino ha rivolto un appello alla calma, il secondo in tre giorni: un evento inconsueto.
Per la verità l’unico bersaglio tecnicamente alla portata di Kim è la Corea del Sud, l’alleato di Washington sulla linea di quel 38˚ parallelo, frutto dell’armistizio del 1953, che da mezzo secolo segna non soltanto il confine tra le due Coree ma un’ostilità insanabile, sottolineata da gesti il più delle volte incomprensibili.
È accaduto persino nei momenti meno opportuni. Prima delle Olimpiadi di Seul, Pyongyang minacciò di sommergere il Sud con uno tsunami artificiale abbattendo le barriere di una diga enorme se non avesse avuto l’onore della cerimonia finale dei Giochi del 1988. I nordcoreani, per dimostrare la serietà delle loro intenzioni, costruirono uno stadio da 100mila posti che rimase miseramente vuoto: questo è un regime dai tocchi psichedelici, oltre che una sorta di gulag del 21˚secolo.
Questa volta Pyongyang, per rimarcare la sua furia, ha già tagliato la famosa "linea rossa" te- lefonica d’emergenza ma allo stesso tempo ha evitato di chiudere la zona economica mista tra le due Coree di Kaesong che porta nelle esauste casse nordcoreane la non trascurabile cifra di 2 miliardi di dollari di entrate l’anno. Contraddizioni che non meravigliano perché questo è il Paese più misterioso del mondo. Nessuno sa per esempio quanti sono stati i morti per la carestia degli anni 90: le stime variano da 200mila a 3,5 milioni. Soltanto nel 2012 Pyongyang ha varato corsi di statistica assegnando l’incarico a professori americani ed europei: un interesse improvviso per i numeri dettato, dico- no, dall’obiettivo di manipolare ancora meglio le cifre ufficiali. Ma queste forse sono malignità.
C’è una lunga storia di minacce senza seguito tra la Corea del Nord, gli Stati Uniti e il loro alleato sudcoreano. Ma anche di incidenti recenti abbastanza seri, come l’affondamento nel 2010 di una nave militare sudcoreana. La sequenza di questo confronto, finora mai sfociato in tragedia, può diventare preoccupante: basta un calcolo sbagliato o un equivoco fatale per accendere la miccia di un conflitto dalle conseguenze regionali e globali imprevedibili.
Ma perché nessuno parla con la Corea del Nord? Non lo fanno gli americani, i cinesi, i russi, e ora che i nordcoreani hanno interrotto la linea rossa è ancora più difficile. Un paio d’anni fa il Us-Korea Institute sottolinea- va che il principale fallimento consisteva nell’avere sempre male interpretato le intenzioni nordcoreane. Gli obiettivi di Pyongyang sono la sopravvivenza del regime, la sicurezza nazionale ed economica: l’arsenale nucleare, il confronto militare e la diplomazia sono dei mezzi per raggiungerli.
Questa crisi acuta si è prodotta in mancanza di negoziati, di garanzie per il regime e di prospettive di una normalizzazione. Né gli Stati Uniti né la Corea del Sud hanno preso in considerazione i mezzi concreti e diplomatici per venire incontro ai nordcoreani.
Certo tutto è dovuto alle caratteristiche del regime: la chiusura ermetica del Paese, l’idea di stato d’assedio diffusa dalla propaganda nella popolazione, l’utopia ideologica alimentata da un patriottismo viscerale, in un quadro dove prevalgono incessanti campagne di mobilitazione di massa. Ma ogni mossa del regime è stata regolarmente qualificata da Washington come una «provocazione» e i negoziati sospesi come misura «punitiva». È piuttosto evidente che la politica degli Stati Uniti in Corea del Nord non ha funzionato e mai funzionerà.
I cinesi, alleati storici di Pyongyang, e i russi hanno la loro dose pesante di responsabilità. Non potendo sfidare la superiorità militare degli americani e il predominio del dollaro come moneta di scambio e di riserva mondiale, hanno utilizzato la Corea del Nord per infastidire gli Usa e i loro alleati coreani e giapponesi. Così, tra un passato di guerre sanguinose e un presente da incubo, aspettiamo gli eventi, aggrappati alle notizie dal 38˚ parallelo, in mano agli umori del giovane Dottor Stranamore nordcoreano.