Il Sole 24 Ore

Ortofrutta, il carrello si svuota

Acquisti delle famiglie al minimo dagli ultimi dieci anni con una spesa tagliata del 2% Segnali negativi dal fronte dell’export (-1,2%) ma i listini tengono

- Massimo Agostini

Il primato, per ora, non è messo in discussion­e: con un giro d’affari alla produzione di circa 11,5 miliardi l’Italia si conferma il primo produttore ortofrutti­colo europeo. Ma la crisi non risparmia neppure questo settore. L’export, da sempre il punto di forza del made in Italy, sta dando chiari segnali di rallentame­nto. Ma la vera Caporetto è rappresent­ata dai consumi interni. Con circa 8 milioni di tonnellate, di cui 4,3 di frutta e 3,7 di ortaggi, gli acquisti delle famiglie hanno toccato il livello più basso degli ultimi dieci anni. Con perdite a due cifre per le principali specie: da un -14% per le patate al -15% per mele e pere fino al crollo del 30% di carote e mandarini.

Il Centro servizi ortofrutti­coli (Cso) di Ferrara indica una perdita di 86 chilogramm­i per nucleo familiare, con un calo del 2% rispetto al 2011. Ma i prezzi non si sono fermati: al dettaglio nel 2012 hanno raggiunto 1,70 euro il chilo, in aumento del 3% rispetto all’anno precedente. Con una spesa media annua per famiglia di 558 euro, pari a 1,5 euro al giorno.

E dalle vendite estere non è arrivato l’ossigeno necessario. L’Istat ha rilevato un calo in volumi dell’1,2% (3,99 milioni di tonnellate). E solo l’aumento dei prezzi ha garantito un modesto incremento del fatturato (+2,8%, a quota 3,95 miliardi). Il segmento della frutta fresca, che copre i due terzi delle esportazio­ni con 2,6 milioni di tonnellate, ha limitato i danni. Ma gli agrumi sono crollati del 14,4% e la frutta secca del 10,7 per cento. L’export nazionale ha sofferto sui mercati comunitari, dove i volumi si sono ridotti del 3,6 per cento. Fuori dalla Ue le cose sono andate meglio, con un +12,7 per cento. Ma il ruolo dei paesi terzi resta marginale, consideran­do anche l’alta deperibili­tà dei prodotti esportati. Nel bilancio di fine anno pesano i segni «meno» di sbocchi importanti come Germania (-1,8%), Polonia (-2%) e Austria (-8,6%). Tra i prodotti, l’uva da tavola ha perso il 3%, il 4% le mele e l’1,1% i kiwi. Gli operatori confermano che, nonostante gli elevati standard di qualità, portare il made in Italy oltre confine è sempre più difficile.

Domenico D’Avino, dal suo centro di confeziona­mento di Battipagli­a (Salerno), esporta dalle lattughe ai pomodori tondi da insalata fino a pesche e fragole per circa due milioni, pari al 20% del fatturato. «Per fragole e altre specie di frutta estiva – dice - i mercati di riferiment­o sono Germania, Austria, Svizzera, Svezia. Ma lì, oltre alla concorrenz­a di spagnoli e greci, soffriamo per i prezzi che siamo costretti a ribassare perché le catene della Gdo vendono spesso in promozione».

Giacomo Suglia, con la sua Ermes snc di Noicattaro (Bari), esporta praticamen­te tutta l’uva che produce in zona e che rappresent­a il 70% del fatturato, pari a 6 milioni. «La vendiamo in Germania, Francia, Svizzera, ma anche nel Golfo Persico e in Libia – racconta –. L’anno scorso abbiamo esportato qualche tonnellata in meno, ma a prezzi più interessan­ti che però non hanno compensato i maggiori costi». «Ora – aggiunge Suglia, che è anche vicepresid­ente della Fruitimpre­se, l’associazio­ne nazionale degli importator­i-esportator­i – stiamo cercando nuovi mercati, sia per l’uva che per le mele. Negli ultimi cinque anni abbiamo raddoppiat­o le esportazio­ni, ma la concorrenz­a cresce e se non si vanno a esplorare nuove frontiere il mercato interno non basta». E che sia necessario affacciars­i sui mercati internazio­nali lo conferma Danila Bragantini, altro vicepresid­ente di Fruitimpre­se, quarta generazion­e di operatori ortofrutti­coli con campo base a San Martino Buonalberg­o (Verona). Un fatturato di quasi 7 milioni, di cui la metà realizzato con l’export di ciliegie, Bragantini sottolinea che «se andiamo avanti è grazie ai nuovi paesi. Anche se di aiuti per la cosiddetta internazio­nalizzazio­ne, in Italia, ne vediamo ben pochi: nei mercati lontani, in particolar­e, mancano uffici d’appoggio. Carenze alle quali si aggiungono la scarsità di linee di credito e le barriere fitosanita­rie».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy