Avviso bonario, ricorso difficile
Le indicazioni su come comportarsi di fronte alle richieste dell’amministrazione Il Fisco blocca la strada all’impugnazione - Resta possibile l’autotutela
Le somme pagate e non dovute devono essere rimborsate al contribuente che, a seguito di comunicazione di irregolarità (il cosiddetto avviso bonario), paga le somme chieste, anche se non dovute, solo per evitare la successiva iscrizione a ruolo e i fastidi delle procedure di riscossione. In alcuni casi, questo è quello che fa il cittadino che, non riuscendo a ottenere l’annullamento di richieste infondate dell’ufficio entro 30 giorni, pena l’iscrizione a ruolo e le sanzioni al 30%, in luogo del 10% se paga l’avviso bonario nei termini, preferisce pagare e poi presentare istanza di annullamento in autotutela e chiedere il rimborso.
Capita anche che il contribuente, ritenendo di avere ragione, presenta l’istanza di annullamento senza eseguire il pagamento, e poi, trascorsi i termini per pagare l’avviso bonario, senza che l’ufficio abbia fornito alcuna risposta, riceverà la cartella di pagamento. Contro la cartella potrà attivare il contenzioso, con l’obbligo del preventivo reclamo - mediazione se il valore della lite, considerate le sole imposte, è di importo non superiore a 20mila euro.
Si deve invece escludere il ricorso contro l’avviso bonario. Per l’agenzia delle Entrate, è infatti esclusa l’impugnabilità degli avvisi bonari, con i quali si invitano i contribuenti a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di liquidazione delle dichiarazioni. È questo l’orientamento delle Entrate sulla base del prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, ribadito dalle sentenze a sezioni unite della Cassazione, n. 16293/2007 e 16428/2007, anche se recentemente la Suprema corte si è espressa in maniera opposta ( sentenza n. 7344/2012). Come si è detto, se, a seguito dell’istanza di annullamento, l’ufficio non fornirà alcuna risposta, il contribuente, per le liti di valore non superiore a 20mila euro, potrà attivare il reclamo- mediazione, che può fare rivivere l’autotutela, per la ragione che l’ufficio, a seguito dell’istanza di mediazione presentata, deve comunque fornire una risposta, che può anche essere un diniego.
In caso di mediazione relativa a restituzione di tributi, se viene riconosciuto il diritto di rimborso al contribuente, lo stesso deve essere eseguito in tempi brevi, come se la conclusione del procedimento di mediazione fosse una sentenza di Commissione tributaria. Sono questi alcuni dei rilevanti effetti per i contribuenti, che possono derivare dalla mediazione tributaria, di cui all’articolo 17-bis, del Dlgs 546/1992. La mediazione riguarda le liti fino a 20mila euro, relative ad accertamenti notificati dalle Entrate a partire dal mese di aprile 2012; per queste liti, per le quali il contribuente intende presentare il ricorso, la presentazione dell’istanza di mediazione è obbligatoria, pena l’inammissibilità del ricorso. Può essere oggetto di mediazione anche il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni e interessi o altri accessori non dovuti. Inoltre, se la mediazione si conclude con il riconoscimento del rimborso al contribuente, lo stesso deve essere eseguito in tempi brevi, come se fosse una sentenza di Commissione tributaria. A seguito delle sentenze favorevoli al contribuente, a norma dell’articolo 68, comma 2, del Dlgs 31 dicembre 1992, n. 546, «il tributo corrisposto in eccedenza con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza». Con la mediazione, non c’è bisogno di alcuna sentenza, perché se l’ufficio riconosce il rimborso a seguito della chiusura del procedimento, lo stesso ufficio può procedere al rimborso in tempi brevi, disponibilità finanziarie permettendo.
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