Finanziamenti, la firma non pesa
Per i patti conta il luogo dove si è formato il consenso
La questione dei contratti di finanziamento stipulati all’estero da imprese italiane torna all’attenzione del fisco con la risoluzione 20/E del 28 marzo 2013 (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Si tratta di un argomento "caldo" in quanto una notevole quantità di questi contratti viene oggi "ristrutturata" e quindi cade sotto l’attenzione dell’amministrazione finanziaria italiana.
Se si stipula un contratto di finanziamento al di fuori del territorio nazionale si "dribbla" l’imposta sostitutiva, prevista dal Dpr 601/1973, in misura pari allo 0,25% dell’importo erogato per le operazioni di finanziamento a medio/lungo termine – cioè di durata superiore a 18 mesi – in quanto manca in tal caso il presupposto della territorialità, dato che l’imposta sostitutiva segue (ex articolo 20, Dpr 601) le stesse regole dell’imposta di registro e quindi non si applica alle operazioni formate al di fuori dei confini nazionali.
In passato, non poche sono state le stipule di finanziamenti allocate all’estero. In alcuni casi si è trattato di situazioni assolutamente fisiologiche: come, ad esempio, il finanziamento arrangiato da un pool di banche (in parte o solo straniere e frequentemente organizzato a Londra), erogato a un gruppo multinazio- nale con una branch in Italia. In altri casi, meno fisiologici, si è trattato di un finanziamento a un’impresa italiana, con azionisti residenti in Italia, erogato da una banca italiana, interamente organizzato e concordato in Italia e destinato ad essere "impiegato" in investimenti in Italia: l’unico elemento di estraneità era il luogo di stipula, in questi casi frequentemente localizzato a Lugano.
Il Fisco italiano aveva già lanciato un avvertimento minaccioso. Nella risoluzione 45 del 10 aprile 2000 le Entrate scrivevano che, se si trattava di operazioni di finanziamento che avessero «effetti anche in Italia» non sarebbe stato «applicabile il regime agevolato dell’imposta sostitutiva ma quello ordinario previsto dalle singole imposte». Ancor più lapidaria fu poi la (poco conosciuta) nota n. 2008/25064/DA3 del 24 aprile 2008 della Dre Lombardia nella quale si qualificava come frutto di una "prassi elusiva" l’operazione di finanziamento a medio termine stipulata a Londra da contraenti italiani (la banca e il soggetto finanziato), con contratto scritto in italiano, regolato dalla legge italiana e destinato a esplicare «i suoi effetti esclusivamente sul territorio italiano».
Nella risoluzione 20/E/2013 il fenomeno in esame viene osser- vato oggi sotto una diversa luce. Anzitutto, si afferma che il solo fatto di localizzare all’estero un’operazione che non ha elementi di internazionalità non può essere configurato come un "abuso del diritto", in quanto il concetto di abuso sottintende un distorto utilizzo di strumenti giuridici apprestati ad altro fine; e quindi il mero fatto del "viaggio all’estero" non rende valutabile in termini abusivi il contrat- 7 Nelle operazioni contrattuali di maggiore entità, per prassi, le parti contraenti (e i loro avvocati) concordano un term sheet, cioè un documento che riassume i principali punti del negoziato da svolgere.
Il term sheet non è un contratto, è un documento preparatorio del contratto, che contiene i principali punti che debbono essere contrattati. Nemmeno il Memorandum of Understanding (MoU) è un contratto ma è la verbalizzazione dello stato di avanzamento del negoziato. to seppur stipulato tra contraenti italiani e che esplichi i propri effetti solamente in Italia.
Se dunque il fisco non contesta il "turismo fiscale", queste operazioni di finanziamento allocate all’estero (se comportano un mancato versamento dell’imposta sostitutiva) rimangono comunque illegittime - secondo le Entrate - qualora nella concreta fattispecie il fisco possa dimostrare che, nonostante la firma del contratto sia stata materialmente effettuata all’estero, il contratto si possa comunque ritenere stipulato in Italia. A questo riguardo, l’Agenzia ricorda che un contratto si forma quando il proponente viene a conoscenza dell’accettazione della proposta contrattuale da parte della controparte. Ebbene, secondo l’Agenzia, a prescindere dal fatto che il contratto venga poi "riprodotto" all’estero (magari nella forma dell’atto notarile), è possibile che un contratto si possa ritenere formato in Italia quando «venga reperito in sede di controllo un "term sheet" o altra documentazione da cui risulti già avvenuta la formazione del consenso"». Si tratta pertanto di un’indagine da compiere caso per caso, strettamente dipendente da come la contrattazione è stata organizzata e dalle carte da cui essa risulta.