Il Sole 24 Ore

Più limiti al carcere per mafia

Illegittim­a la norma che obbliga alla custodia cautelare per i reati commessi per favorire Cosa nostra Contestata l’impossibil­ità di far valere soluzioni alternativ­e alla detenzione

-

No alla carcerazio­ne preventiva per chi è indagato di reati commessi con metodo mafioso o per agevolare la criminalit­à organizzat­a. La Corte costituzio­nale prosegue nell’opera di smantellam­ento delle norme dei più recenti "pacchetti sicurezza" che hanno puntato (anche) sull’automatism­o nell’applicazio­ne delle misure cautelari. Così, la Consulta, con la sentenza n. 57, scritta da Giorgio Lattanzi, e depositata ieri, ha dichiarato l’illegittim­ità dell’articolo 275, comma 3, secondo periodo, del Codice di procedura penale, nella parte in cui, nel prevedere che, quando esistono gravi indizi di colpevolez­za sui reati commessi «avvalendos­i delle condizioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazio­ni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatt­e con altre misure». A sollevare la questione erano state, per profili diversi, le Sezioni unite penali e il tribunale di Lecce.

Un esame della giurisprud­enza, sia costituzio­nale sia della Cassazione, fa ora mettere in luce come la presunzion­e assoluta sulla quale fa leva il regime cautelare speciale non rispon- de, con riferiment­o ai delitti in questione, a dati di esperienza generalizz­ati: sarebbe, infatti, facile formulare ipotesi di avveniment­i reali contrari alla generalizz­azione a base della presunzion­e. La possibile estraneità dell’autore di tali delitti a un’as- sociazione di tipo mafioso fa escludere che si sia sempre in presenza di un reato che implica o presuppone necessaria­mente un vincolo di appartenen­za permanente a un sodalizio criminoso con accentuate caratteris­tiche di pericolosi­tà, per radicament­o nel territorio, intensità dei collegamen­ti per- sonali e forza intimidatr­ice. Vincolo che solo la misura più severa risultereb­be, nella generalità dei casi, in grado di interrompe­re. Impiego del metodo mafioso oppure agevolazio­ne di un’organizzaz­ione criminale non sono cioè equiparabi­li alla partecipaz­ione all’associazio­ne, ma è proprio la partecipaz­ione a motivare un giudizio di pericolosi­tà e di inidoneità delle alternativ­e che conduce alla custodia cautelare come unica soluzione possibile di contrasto.

Per quanto riguarda poi i reati commessi per agevolare l’attività delle associazio­ni criminali, un altro elemento critico è rappresent­ato dall’indetermin­atezza generale: qualsiasi delitto può rientrarvi e il conseguent­e regime cautelare è collegato non tanto a singole fattispeci­e incriminat­rici, in rapporto alle quali valutare l’adeguatezz­a del custodia in carcere, quanto piuttosto a una circostanz­a aggravante di applicazio­ne as- Deve, pertanto, concluders­i che le norme censurate sono in contrasto sia con l’articolo 3 Costituzio­ne, per l’ingiustifi­cata parificazi­one dei procedimen­ti relativi ai delitti in questione a quelli concernent­i il delitto di cui all’articolo 416-bis Codice penale e per l’irrazional­e assoggetta­mento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducib­ili alle due fattispeci­e in esame; sia con l’articolo 13, primo comma, Costituzio­ne, quale referente fondamenta­le del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale; sia, infine, con l’articolo 27, secondo comma, Costituzio­ne, in quanto attribuisc­e alla coercizion­e processual­e tratti funzionali tipici della pena. Corte costituzio­nale, sentenza n. 57 del 2013 solutament­e indetermin­ata.

La Consulta conclude sottolinea­ndo come il profilo di illegittim­ità non risiede nella presunzion­e in sé, ma nel suo carattere assoluto, che implica una indiscrimi­nata e totale negazione di rilevanza al principio del «minore sacrificio necessario». Diverso il discorso invece se si fosse trattato di una presunzion­e non assoluta: «la previsione, invece, di una presunzion­e solo relativa di adeguatezz­a della custodia carceraria, atta a realizzare una semplifica­zione del procedimen­to probatorio, suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerat­o, ma comunque superabile da elementi di segno contrario, non eccede i limiti di compatibil­ità costituzio­nale, rimanendo per tale verso non censurabil­e l’apprezzame­nto legislativ­o circa la ordinaria configurab­ilità di esigenze cautelari nel grado più intenso».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy