Se è a rischio il «dividendo Italia»
L’altalena
dello spread, ieri di nuovo sopra 180 punti base con il rendimento del decennale italiano al 3,15 per cento, ri- schia di annullare quel "dividendo" di almeno 3 miliardi ipotizzato già dal governo Letta.
La discesa al di sotto dei 160 punti dei primi di aprile sembrava aprire la strada a ulteriori ribassi. Non a caso nel «Def» approvato l’8 aprile e trasmesso a Bruxelles (il responso è atteso il 2 giugno), si indicano gli spread «in ulteriore riduzione, fino a raggiungere i 100 punti base a fine periodo».
Variabile decisiva, per rispettare i target di finanza pubblica, che vedono il deficit nominale attestarsi quest’anno al 2,6% del Pil, e all’1,8% nel 2015, a fronte dello slittamento dal 2015 al 2016 del pareggio di bilancio in termini strutturali. Il governo ha scommesso sulla «relativa stabilità» dei mercati manifestatasi all’atto di formazione dell’esecutivo, tanto da ipotizzare «una nuova discesa dei tassi di interesse lungo tutta la curva dei rendimenti».
La riduzione dei differenziali con la Germania ha consentito di conseguire risultati «non troppo distanti da quelli dell’estate del 2011», prima dell’esplodere della crisi del debito sovrano.
Il vento di ottimismo che ha preso a spirare nei primi mesi del 2014 ha indotto non a caso il Tesoro ad emettere un nuovo titolo a dieci anni sul versante delle emissioni indicizzate all’inflazione europea, proprio quel segmento fortemente penalizzato durante la crisi.
Se ora lo spread torna a salire, non si può far conto su alcun dividendo aggiuntivo, addirittura indicato in prima battuta tra le possibili coperture del bonus Irpef. Occorre puntare con maggiore determinazione sull’auspicato aumento del denominatore (la crescita), e mantenere l’avanzo primario nel profilo crescente: dal 2,6% del 2014 al 4,4% del 2018. Non vi è altra strada (le privatizzazioni possono offrire un contributo importante ma non certo risolutivo) per gestire un debito avviato a superare il 135% del Pil, secondo le stime della Commissione europea.
Naturalmente, prima di riformulare le previsioni sul fronte della spesa in conto interessi (a quota 5,2% del Pil quest’anno e 5,1% nel 2015, contro il 5,3% del 2013), occorrerà verificare l’andamento dello spread e dei tassi nei prossimi mesi, per poi modificare eventualmente il target con la Nota di aggiornamento del «Def» di metà settembre.
Al momento, le previsioni sono state costruite assumendo che lo spread si mantenga in linea con l’andamento registrato nei primi mesi dell’anno, per poi scendere progressivamente a 150 punti base nel 2015, e a 100 punti dalla fine del 2016. Si potrebbe in tal modo ridurre l’onere per il servizio del debito al 4,7% del Pil nel 2018.
Cautela dunque, come mostra la volatilità sui mercati della scorsa settimana, quando in contemporanea con la diffusione dei dati sul Pil del primo trimestre, voci (poi smentite) di possibili interventi retroattivi sulla tassazione dei titoli di stato in Grecia hanno provocato il tonfo delle borse e l’impennata dello spread.
Pesano le incognite politiche in Europa, in una delicata fase di passaggio tra le elezioni del prossimo 25 maggio e l’insediamento della nuova Commissione Ue in novembre.
Da noi potrebbe materializzarsi nuovamente lo spettro dell’instabilità politica. Una miscela pericolosa per un paese ad alto debito e bassa crescita, in una fase di perdurante stagnazione dell’eurozona.
E ieri sui mercati hanno pesato le tensioni in Libia e l’esito del primo turno delle amministrative greche in Grecia.
La linea di difesa dell’Economia prevede l’accelerazione del percorso di riforme, subito dopo la fase di "sospensione" originata dalla scadenza elettorale di domenica.
Si punta affrontare il passaggio della prossima legge di stabilità con indicatori di crescita che, dopo la battuta di arresto del primo trimestre (-0,1%) ricollochino il profilo del Pil quanto meno nei dintorni del target previsto dai documenti programatici (0,8%).
È una scommessa che andrà giocata nel secondo e terzo trimestre dell’anno. Viceversa, potrebbe essere molto arduo realizzare effettivamente con la legge di stabilità interventi per non meno di 20 miliardi nel 2015 (10 dei quali diretti a stabilizzare il bonus Irpef).