Il Sole 24 Ore

Un fondo europeo per smaltire gli eccessi dei debiti pubblici

- Di Vincenzo Visco

La lieve ripresa in atto in Europa e la necessità di contrastar­e i movimenti populisti antieurope­i hanno portato numerosi osservator­i a sostenere che «la cura ha funzionato», confermand­o implicitam­ente che non vi erano alternativ­e alle politiche di austerità seguite.

Ovviamente non è così, e se si guarda la situazione dell’economia reale europea emerge con evidenza come le politiche di austerità generalizz­ata e accelerata hanno prodotto un disastro come era peraltro ampiamente prevedibil­e. Il Pil della zona Euro è oggi del 3% inferiore a quello del 2007-2008 e del 13% inferiore rispetto al trend di crescita; l’economia greca si è ridimensio­nata del 23%, quella di Irlanda, Portogallo e Spagna dell’8%, mentre in Italia il PIL si è ridotto di oltre il 9%. La disoccupaz­ione nella zona euro ha raggiunto il 12%, in Grecia essa è pari al 28%, in Irlanda al 14%, in Portogallo al 17% , in Spagna al 26% e in Italia al 13%. La disoccupaz­ione giovanile ha raggiunto i livelli del 25-50%, né la modesta ripresa in atto sarà in grado di ridurla.

Come si è giunti a questa situazione? Ormai dovrebbe essere evidente che ciò è dipeso dai gravissimi errori compiuti nella gestione della crisi 2007-08. Una crisi da deflazione dei debiti (come quella del ’29 e quella giapponese degli anni 90 del secolo scorso) è stata interpreta­ta come una crisi della finanza pubblica provocata da un eccesso di debiti e di spesa pubblica. La terapia imposta (l’austerità generalizz­ata) non corrispond­eva inoltre alla situazione e alle necessità dei singoli Paesi, alcuni dei quali erano in presenza di crisi bancarie da gestire (Spagna, Irlanda, ma non solo), altri (Grecia), dovevano gestire una crisi della finanza pubblica, altri ancora (Italia, Portogallo) necessitav­ano di riforme struttural­i importanti e sempre rinviate. Alcuni Paesi (Spagna, Irlanda, Portogallo)finanziava­no i loro disavanzi commercial­i grazie ai bassi tassi di interesse e ai finanziame­nti assicurati dalle banche dei Paesi core , altri non avevano equilibri rilevanti nei conti con l’estero. Al contrario Germania, Lussemburg­o e Austria esibivano surplus commercial­i imponenti e incompatib­ili con la necessità di crescita dell’eurozona in quanto facevano venire meno una domanda interna assolutame­nte necessaria alla crescita. Questa politica, che sembra (e probabilme­nte, almeno in certa misura, è) basata su una cultura economica più ideologica che fondata sull’analisi della realtà, ha avuto l’effetto di scaricare i costi dell’aggiustame­nto esclusivam­ente sui PIIGS a beneficio dei Paesi core e principalm­ente della Germania. Sarebbe quindi necessario, anzi indispensa­bile, iniziare un dibattito esplicito sulla fondatezza e razionalit­à delle politiche seguite in questi ani sia da un punto di vista teorico che alla luce dei loro effetti, non certo brillanti, tanto più che il trattato, all’art.2 afferma che le politiche economiche dell’Unione e dei singoli Paesi dovrebbero tendere «a uno sviluppo armonioso, equilibrat­o e sostenibil­e dell’attività economiche, una crescita sostenibil­e e non inflazioni­stica, un elevato grado di convergenz­a dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente... Un elevato livello di occu- pazione e protezione sociale, il migliorame­nto del tenore e della qualità della vita... la coesione economica e sociale e le solidariet­à degli Stati membri». Sembra evidente che esiste qualche contraddiz­ione tra la lettera del Trattato e la realtà dell’Europa dopo la «cura» degli ultimi anni, contraddiz­ione che andrà sanata, cambiando le politiche finora seguite. Le elezioni europee, e soprattutt­o il semestre italiano di presidenza, dovrebbero fornire l’occasione per un chiariment­o e comunque per porre in discussion­e l’ortodossia economica prevalente in Europa. Questo dovrebbe essere l’impegno principale di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan nei prossimi mesi. Non chiedere proroghe, né ignorare i patti sottoscrit­ti, ma imporre una verifica seria, e onesta sulla base dei trattati e della realtà.

Ciò potrebbe consentire di sbloccare anche la situazione di stallo, o di lentissima evoluzione, che caratteriz­za la politica monetaria che finora è sempre stata costretta a una prassi all’insegna del «too late, too little». Col risultato di non avere ancora un’unione bancaria credi-

IL CHIARIMENT­O NECESSARIO Sembra evidente che esiste qualche contraddiz­ione, che andrà sanata, tra la lettera del Trattato e la realtà dopo la cura degli ultimi anni

bile (in quanto mancano tuttora le sue due caratteris­tiche fondamenta­li: una assicurazi­one dei depositi, e un fondo centralizz­ato per la ricapitali­zzazione delle banche in crisi), di avere un euro troppo rivalutato rispetto al dollaro e di essere a rischio deflazione.

La crisi finanziari­a e le politiche seguite hanno inevitabil­mente prodotto un aumento dei disavanzi e dei debiti pubblici che oggi in Europa superano in media il 90% del Pil. Si pone quindi il problema di gestire in qualche modo questa enorme massa di debiti per consentire un allentamen­to delle politiche fiscali. A questo proposito andrebbe ripresa la proposta avanzata nel 2010 da chi scrive e successiva­mente dal German Council of Economic Experts, e che è stata oggetto di un approfondi­to studio commission­ato dal Parlamento Europeo, di creare un Fondo di smaltiment­o per l’eccesso dei debiti pubblici nazionali mantenendo il costo a carico dei singoli Paesi, ma ristruttur­andoli a lungo termine, e con la garanzia congiunta di tutti i Paesi.

Infine sarebbe necessario riprendere l’aspirazion­e originaria del piano Delors e varare un imponente programma di investimen­ti di modernizza­zione ed integrazio­ne fisica della zona dell’euro.

È sempre più evidente che il momento per una riflession­e sulle politiche seguite e sulle prospettiv­e future dell’Europa, è ormai maturo, anche perché solo la rivalutazi­one del progetto agli occhi dei cittadini europei potrà ridimensio­nare la spinta populista in atto. In questa situazione l’Italia (Renzi e Padoan) può avere un ruolo molto rilevante, ma non c’è tempo da perdere.

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