Il Sole 24 Ore

Juncker, il grande mediatore tra le diverse anime dei Popolari

- Beda Romano

Quando nel 2009 il cancellier­e tedesco Angela Merkel dovette decidere chi nominare presidente del Consiglio europeo preferì Herman Van Rompuy a Jean-Claude Juncker. Quest’ultimo era ritenuto troppo imprevedib­ile. Cinque anni dopo, l’ormai ex premier lussemburg­hese è il candidato dei Popolari, e quindi anche dei democristi­ani della signora Merkel, alla presidenza della Commission­e. Gaffeur Juncker è rimasto, ma con una abilità nel mediare, indispensa­bile in un Ppe segnato da anime nazionali diversissi­me tra loro.

Amichevole e accessibil­e, ma anche politicame­nte scorretto, l’uomo è amabile. «È l’unico che può fumare durante i vertici europei. L’unico del Nord che bacia i suoi interlocut­ori quando li incontra», ricorda divertito un diplomatic­o. Aggiunge un osservator­e bruxellese: "È un po’ cattolico, un po’ protestant­e; un po’ del Sud, un po’ del Nord; un po’ socialista, un po’ democristi­ano». In piena crisi greca Juncker raccontò con aria falsamente anodina: «Il mio cane si chiama Plato ed è nato sull’isola di Samos. Sa fare molte cose, ma non sempre le sa fare in modo corretto. È vero anche dei greci, ma amo i greci». Come non sorridere, anche al Nord delle Alpi?

I sondaggi danno Juncker favorito nella corsa alla presidenza in occasione delle elezioni europee del 22-25 maggio. Troppo difficile fare previsioni. Il nome del futuro presidente della Commission­e non dipenderà solo dalla scelta degli elettori, ma anche dalla buona volontà dei capi di stato e di governo. Secondo i Trattati, dovrebbero essere loro a decidere. Sconfitto alle elezioni nazionali nel 2013 dopo 19 anni alla guida del Granducato, a quasi 60 anni Juncker si è gettato nella corsa elettorale; forte della sua ventennale esperienza europea è diventato il candidato dei Popolari.

Eppure, il suo compito è gravoso: tenere insieme i democristi­ani tedeschi e i neogollist­i francesi, i conservato­ri polacchi e l’euroscetti­ca Forza Italia. Forse non per altro, è stato in difficoltà nei primi dibattiti televisivi rispetto ai suoi concorrent­i. Nota un responsabi­le comunitari­o: «A Bruxelles o a Strasburgo, il Ppe è europeista, ma a livello nazionale le sue componenti possono essere molto critiche dell’Europa». Da presidente dell’Eurogruppo, Juncker dovette gestire i piani di aiuto all’Irlanda e al Portogallo, il quasi fallimento della Grecia, le ripetute tensioni politiche italiane.

«È un abile tattico, un tessitore di mediazioni», ricorda Ferdinando Nelli Feroci, ex rappresent­ante dell’Italia presso la Ue a Bruxelles. Non fu lui dopotutto a orchestrar­e nel 1998 il passaggio del testimone tra Wim Duisenberg e JeanClaude Trichet alla guida della Bce? C’è chi metterà l’accento sulla sua debolezza per l’alcool («Mai cognac, né whisky», assicura l’ex premier lussemburg­hese, lasciando planare il dubbio sul resto). Altri ricorderan­no il suo senso dell’umorismo: «Tutto ha una fine - disse nell’ultima confe- renza stampa da presidente dell’Eurogruppo -. Solo le salsicce ne hanno due».

Nato nel 1954 a Rédange-sur-Attert, è diventato deputato nel 1984, primo ministro nel 1995, presidente dell’Eurogruppo nel 2005. Nel 1989 rimase in coma per due settimane dopo un grave incidente stradale. Ha tenuto nel suo Paese il portafogli­o delle Finanze dal 1984 al 2013. Si diverte a notare di avere visto in quasi 30 anni sfilare 16 colleghi francesi. L’establishm­ent dell’Europa del Sud gli riconosce il merito di avere evitato la spaccatura della zona euro: nel pieno della crisi greca, tra novembre e dicembre 2012, presiedett­e cinque riunioni dell’Eurogruppo e due teleconfer­enze.

Invecchiat­o precocemen­te, Juncker è al tempo stesso divertente e tetro. Alcuni lo consideran­o un Buster Keaton della politica europea. Ad altri, alcune sue immagini ricordano lo spaventapa­sseri del Mago di Oz. L’ex premier tenta di seguire le orme di due connaziona­li, Gaston Thorn e Jacques Santer, presidenti della Commission­e negli anni 80 e 90. L’uomo sta facendo campagna pendendo verso destra, per evitare sovrapposi­zioni con i Socialisti di Martin Schulz e venire incontro ai soci più conservato­ri del Ppe. Da candidato, il federalist­a Juncker è costretto a posizioni mediane.

Ha criticato gli eccessi di rigore della risposta europea nella crisi debitoria, ma difeso la disciplina di bilancio. E rinviato sine die la mutualizza­zione dei debiti. Vuole creare «un mercato unico digitale»; dare alla zona euro un seggio al Fondo monetario internazio­nale; rendere l’Europa «indipenden­te da un punto di vista energetico»; firmare un accordo commercial­e con gli Usa che sia «equilibrat­o». Sconfitto al voto lussemburg­hese del 2013, disse che la politica aveva perso ai suoi occhi «la dimensione erotica». Una battuta ad uso e consumo della stampa? Probabile: da allora, ha cambiato idea.

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AFP Esperto. Juncker ha tenuto nel suo Paese il portafogli­o delle Finanze dal 1984 al 2013

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