Astra rifiuta l’«offerta finale» di Pfizer
La parola agli azionisti. Toccherà loro decidere se, e quanto, premere sul board di Astra Zeneca per sollecitare un’imbarazzante marcia indietro, oppure abbandonare del tutto l’ipotesi di un takeover che premia del 30% circa il titolo del gigante farmaceutico rispetto ai corsi di ieri.
Il deal del secolo per il listino inglese rischia di trasformarsi in un incubo per Pascal Soriot, il ceo della società anglo-svedese che ieri ha rigettato, senza nemmeno concedersi qualche ora di riflessione, 117 miliardi di dollari offerti, comeultimo rilancio, da Pfizer. Il no è arri- vato a strettissimo giro di posta dopo che il ceo del gruppo americano, Ian Read, aveva deciso di alzare l’offerta da 50 a 53,55 pound per poi portarla fino a 55 dollari per azione, elevando la quota cash dal 32 al 45%. Troppo poco per Astra Zeneca convinta che 58,5 sterline sia il prezzo giusto per convincere il board ad avviare negoziati. In teoria
LE PROSSIME MOSSE Il mercato boccia la chiusura degli anglo-svedesi: il titolo arriva a perdere il 17% Ma alcuni azionisti spingono per nuove trattative
le parti hannotempofino al 26 maggio per rimettere a punto una proposta che oggi sembra sul punto di naufragare: dopo quella data Pfizer dovràsfilarsi dalla partita, rimanendo sei mesi in silenzio. Poi, qualora lo trovasse opportuno, ci potrà riprovare. Ma tempi tanto lunghi sonoinimmaginabili. La sensazione è che il matrimonio transatlantico fra Big Pharma o si fa ora o, probabilmente, non si fa. Allo stato attuale prevaleil secondo scenario, ameno che gli azionisti non decidano di spingerea tutta forza sulboard. I segnali ci sono. Mentre il titolo di Astra Zeneca crollava fino al 15% per poi veleggiare - nel corso della giornata - attorno a una perdita dell’11,4%, si incrociavano le voci di analisti e shareholders. Alastair Gunn del fondo Jupiter, uno dei 30 top azionisti della società anglosvedese, è stato esplicito. «Il management non ha fatto un buon lavoro. Dovevano quantomeno avviare discussioni». Pensiero condiviso dalle voci anonime di tanti altri azionisti che si sono susseguite in giornata. Rinunciare a 55 sterline perazionepervedereil titolo precipitare attorno ai 40poundcrea, inevitabilmente, reazioni. Emolti dubbi. Gli analisti di Kepler Chevreux credono che scenderà anche sotto le 40 sterline, mentre quelli di PanmureGordonritengonochelaspinta degli azionisti su Pascal Soriot sa- rà tale da convincerlo a trattare. In realtà, Ian Read, non ha lasciato margini precisando che l’offerta è «finale» senza quindi possibilità di rilancio. Probabile, ma non ancora scolpito nel marmo, non almeno da giustificare la rinuncia anche a un giro di tavolo.
In attesa di capire se gli azionisti agiranno come alcuni minacciano, ci sono da registrare le ragioni di Astra Zeneca. Pascal Soriot è convinto di aver in pipeline prodotti - anticancro e per la cura dell’asma - ingrado diportare le venditea 45miliardi nel 2023, poco meno del doppio del turnover di quest’anno e dopo una caduta prevista nel 2017 quando andranno a scadere alcuni brevetti. In altre parole è convinto che Astra abbia tutto il potenziale per crescere e fiorire anche senza Pfizer. Il presidente del gruppo anglo-svedese, Leif Johanson, è stato esplicito nel precisare chenon ci saràmarciaindietro perché «l’approccio di Pfizer èstato dettato daconsiderazioni finanziarie e soprattutto fiscali...in tante settimane di discussioni non è mai stato spiegato il senso strategico di questa operazione». Come dire: uno degli obbiettivi è sfruttare la bassa corporate tax britannica(20%) trasferendo aLondralaresidenza fiscale. Unadinamica sempre più diffusa che irrita ora anche gli Stati Uniti quantomai decisi ad agire per frenare la potenziale emoraggia di imprese e che, paradossalmente, preoccupa anche la GranBretagna. Lacondizione di paradiso fiscale rischia di spingere le multinazionali a fare acquisizioni con l’obiettivo, aggiuntivo, di ricollocarsi nel Regno, tagliando personale e riducendo, come nel caso AstraZeneca, i laboratori di ricerca.