Il Sole 24 Ore

Se lo sviluppo della banda ultralarga vale 1.300 Âa cliente

- Antonella Olivieri

Nessuno del settore vi dirà che il satellite è il futuro della tv. Eppure AT&T ha messo in piedi un’operazione da 67 miliardi di dollari (tra equity e debito) per rilevare Direct tv, la seconda pay-tv americana che trasmette appunto col satellite, a multipli (8,15 volte l’Ebitda) che non sono certo a saldo. Ma di fatto il colosso Usa delle tlc sta comprando un portafogli­o clienti già disposti a pagare per seguire dal salotto di casa una partita di football o godersi un film senza muovere un passo. Direct tv infatti conta 20,3 milioni di abbonati negli Usa e 18,1 milioni nei Paesi dell’America Latina: una valutazion­e da quasi 1.300 euro a cliente.

Azzardo da new economy fuori contesto? In realtà AT&T sta sostenendo le prospettiv­e del suo core business. Il consumo di banda ultralarga, sia nel fisso che nel mobile, è strettamen­te correlato con la fruizione di video ad alta qualità. Per il gruppo di Dallas, che oggi ha appena 5,7 milioni di utenti tv, significa moltiplica­re per sette la riserva di caccia potenziale da convertire a velocità da 100 mega, senza dividere nel frattempo con nessuno i proventi dei servizi erogati. In piccolo – visto che per ora si tratta di un altro ordine di grandezza – è quello che sta cercando di fare Telefonica con la pay-tv messa in vendita da Prisa che, con gli abbonati della compagnia di tlc, consegnere­bbe al gruppo presieduto da Cesar Alierta il 61% del mercato spagnolo delle tv a pagamento. Ed è la strada che, con le dovute differenze, anche Telecom ha deciso di battere per incentivar­e la domanda di banda ultralarga stringendo un accordo, ma solo commercial­e, con Sky. La riedizione di un’intesa che Marco Tronchetti Provera aveva cercato di chiudere nel 2006 prima di passare il testimone di Olimpia. Allora, ha dichiarato l’ex presidente Telecom in una recente intervista televisiva, con Murdoch si era arrivati a discutere di fatturazio­ne, di chi avrebbe avuto cioè in mano la gestione del cliente.

Ma da questa parte dell’Atlantico il contesto in realtà è completame­nte differente. Negli Usa gli operatori di tlc si contano sulle dita di una mano, nel Vecchio continente di mano ce ne vogliono almeno venti. Solo in Italia – con Telecom, Vodafone, Wind, Fastweb e 3 – ce ne sono cinque e, rispetto ad altri Paesi europei, l’ulteriore differenza sta nel fatto che qui da noi non hanno mai piantato le radici gli operatori via cavo. In Europa il consolidam­ento del settore delle tlc è ancora una chimera, negli Usa si è già arrivati alla fase 2 delle aggregazio­ni transettor­iali.

Vista da questa sponda dell’Oceano, la mossa di AT&T non sarà però soltanto un caso da osservare con attenzione per verificare le chances futuribili di sviluppo del mercato. Ma avrà da subito conseguenz­e pratiche. La prima è che si scioglierà il legame azionario con il gruppo di Carlos Slim, che in Europa – con Kpn e Telekom Austria – ci ha messo già un piede (proprio su Telecom otto anni fa americani e messicani si erano mossi in tandem). Per non incappare in problemi Antitrust in Sud-America, AT&T sarà costretta infatti a cedere l’8% detenuto in America Movil. La seconda, che va di fatto nella stessa direzione, è che probabilme­nte la campagna europea di AT&T è finita ancora prima di iniziare. Difficilme­nte si tornerà a vociferare di shopping Usa nel Vecchio continente, almeno fino a quando AT&T non sarà riuscita a mettere a frutto i 67 miliardi di dollari investiti nella sfidante partita domestica.

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