Il Sole 24 Ore

Ricerca delle prove e allerta: il doppio fronte degli inquirenti

- Marco Ludovico

c'è l'Isis, perché all'epoca non era ancora stato proclamato l'Islamic State. Ma l'indagine chiusa ieri dalla Procura di Cagliari su al Qaeda rivela una rovente attualità. Traccia, infatti, scenari più volte raccontati ma incastrati, adesso, in un quadro giudiziari­o ampio, articolato e complesso. Come lo è, in fondo, la presenza e la minaccia eversiva di tipo islamico sul nostro territorio. La sintesi delle osservazio­ni, dopo aver letto le carte degli inquirenti, è semplice e duplice: il livello di rischio oggi è diffuso, intenso, concreto e serio, anche se non ancora drammatico; gli apparati di sicurezza hanno svolto finora un lavoro immane e a tutti gli effetti ineccepibi­le. La rilettura dell'inchiesta sarda consente di sostenere che «a tutti gli effetti già molti anni fa al Zarkawi parlava di califfato ed è ormai acclarato come molte cellule di al Qaeda sono passate nell'Is», come spiega il prefetto Carlo De Stefano, dal 2001 al 2009 numero uno dell'Ucigos. De Stefano ha visto proprio nascere questa indagine condotta dalle Digos e dagli uomini della polizia di prevenzion­e.

Oltre gli aspetti clamorosi e più di colore, in realtà molto sfuggenti e sfumati, come l'ipotesi dell'attentato al Vaticano, è la fotografia scattata dalla Procura a fare impression­e. Testimonia queste presenze pachistane in Italia, tutto sommato, molto discrete, ma pronte non appena tornano nei luoghi d'origine a compiere i delitti più efferati: omicidi, vendette, attacchi contro le forze di polizia, ricatti, corruzione. Per poi rientrare nelle nostre regioni, anche le più periferich­e, in un andirivien­i che non promette nulla di buono per la nostra pubblica sicurezza.

Uno degli aspetti più significat­ivi dell'indagine è la sua enorme difficoltà: i numerosi dialetti, dal pashtun all'urdu, da tradurre e interpreta­re, con la garanzia tutta da verificare che gli interpreti al servizio degli investigat­ori siano affidabili; la miriade di clan, tribù, gruppi e gruppuscol­i, dove scavare per acquisire le informazio­ni è un'impresa; la lentezza sfiancante – l'inchiesta chiusa ieri, infatti, è durata almeno cinque anni – del lavoro giudiziari­o obbligato, per essere credibile e fondato, a costruire un quadro accusatori­o solido quando gli elementi sono spesso non così evidenti, pur essendo di sostanza. Il doppio lavoro degli uomini della Polizia di Stato guidati dal prefetto Alessandro Pansa, e del servizio centrale antiterror­ismo in particolar­e, è indagare e ricostruir­e prove e indizi di un'accusa giudiziari­a ma, al tempo stes- so, tenere sempre massima l'allerta davanti a una minaccia incombente.

L'indagine dimostra che il contrasto è stato efficace, vista la rinuncia dei soggetti inquisiti a fare un attacco sul nostro territorio. Ma le parole dette ieri dal premier Matteo Renzi – «dobbiamo stare attenti a quello che accade dentro i nostri confini» – non sono dette a caso. La comunità pachistana in Italia, secondo le statistich­e revisionat­e dall'Istat del ministero dell'Interno, oggi guidato da Angelino Alfano, ammontava nel 2013 a 97.921 persone titolari di un permesso di soggiorno. A queste vanno aggiunte quelle – non stimabili per definizion­e - entrate in maniera illegale. Ci sono, certo, comunità straniere dai numeri molto più elevati, ma l'indice di rischio di questa etnìa impone, com'è noto alle forze di polizia, un'attenzione particolar­e, assidua. Il reticolo di collegamen­ti e di linee di azione eversiva è un fatto.

Del resto l'inchiesta di Cagliari conferma un'altra veri-

LA FORMA DELLA MINACCIA L’inchiesta di Cagliari conferma anche la duplice forma della minaccia terroristi­ca: quella dei piccoli gruppi e quella dei lupi solitari

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy