Obama rivede la strategia ma l’uso dei droni continua
Obama cerca già di guardare oltre. È sotto attacco del Congresso per il modo in cui ha gestito la vicenda dell’attacco del drone che ha causto la morte di un giovane italiano, Giovanni Lo Porto e un anziano americano, Warren Weinstein. Ma non cede su un punto: gli attacchi sono necessari e continueranno. Non solo, ieri ha approfittato del decimo anniversario della direzione per il coordinamento dell’intelligence per ringraziare la comunità del controspionaggio e dell’antiterrorismo americani: «Avete sempre fatto un ottimo lavoro. Se capita un incidente come quello che ha purtroppo causato la morte di due civili occidentali tutti vedono l’errore, ma non si vede mai quando invece le vostre operazioni hanno avuto successo e hanno salvato molte vite americane, per questo vi ringrazio, grazie al vostro servizio, al vostro patriottismo, al vostro professionismo oggi siamo più sicuri».
In effetti è difficile farne una questione di lana caprina quando ci si deve difendere dal rischio di attacchi terroristici con contrattacchi militari che, per definizione, possono andare male. Resta tuttavia un dubbio: perché Obama ha aspettato due mesi e mezzo prima di dare la conferma del- la notizia? Da indiscrezioni autorevoli che circolavano ieri e giovedì, r i prese dai media americani, si è saputo che l’Fbi aveva chiamato i famigliari di Weinstein già ai primi di febbraio per dare la notizia che quasi certamente il loro caro era morto in prigionia. Ma l’Fbi non ha dato alla famiglia dettagli sull’attacco dei droni o sulla causa della morte, cioè un bombardamento da fuoco amico. Si è saputo tra l’altro che la famiglia dell’ostaggio americano aveva pagato circa 250.000 dollari di riscatto ma che poi il prigioniero non fu rilasciato lo stesso. Un elemento in più che conferma la confusione con cui le agenzie di intelligence, nonostante il coordinamento ieri, si scambiano le informazioni. Ad esempio, l’Fbi è responsabile degli ostaggi e la Cia degli attacchi ai terroristi, ma, nonostante tutti i tentativi di coordinamento di cui parlava ieri Obama le due agenzie non si scambiano informazioni su chi sta facendo cosa.
Per questo, sempre ieri, la Casa Bianca ha annunciato di aver avviato procedure per creare una «fusion cell» una nuova cellula operativa che dovrà “fondere” le informazioni in possesso ora dall’Fbi, o dal dipartimento per la Difesa o della Cia a livello di funzionari “anziani”.
Nel frattempo abbiamo sapu- to che l’attacco dei droni fu deciso dalla Cia senza che ci fossero obiettivi o nomi precisi di terroristi. Si sapeva soltanto che i “target” erano quattro, che il rifugio era tra le impervie foreste nella valle di Shawal tra il Waziristan settentrionale e meridionale, vicino al villaggio Wacha Dare. Il sospetto era che i quattro, seguiti per settimane nei loro movimenti, potessero essere legati al movimento islamico uzbeko. Di certo erano terroristi islamici. Quanto bastava, dopo settimane di inchiesta, per autorizzare l’attacco, anche se in teoria contro le direttive della Casa Bianca che non voleva più attacchi dopo il 2014. La Cia poi capì di aver fatto un errore gravissimo soltanto dopo aver monitorato gli eventi successivi all’attacco. Solo nelle settimane successive un’inchiesta ha chiarito che i due altri uccisi erano gli ostaggi. Da febbraio a oggi, perché Obama, che sapeva dell’incidente molto tempo prima dell’incontro con Matteo Renzi, non ha detto nulla? E a una domanda che gli ha fatto il Sole 24 Ore alla Casa Bianca durante la conferenza stampa congiunta proprio sui droni, Obama ha risposto secco, come se la domanda riguardasse un altro pianeta: «Di droni proprio non abbiamo parlato».