La Ue si salva se riduce l’asimmetria tra gli Stati
C’è uno scorpione nella bottiglia dell’Eurozona: il suo disegno istituzionale. Come lo scorpione, cercando di uscire disperatamente dalla bottiglia, finisce per ferirsi mortalmente, così rischia di succedere alla governance dell’euro. L’Eurozona è paralizzata da un conflitto a somma zero tra 18 Paesi (da un lato) e la Grecia (dall’altro). Quest’ultima è prigioniera di un paradosso istituzionale: non le è consentito di fallire, ma non le è neppure consentito di crescere. I Paesi dell’Eurozona che hanno dovuto affrontare i sacrifici maggiori sono i più irriducibili avversari di ogni politica che possa favorire il governo greco. A sua volta, quest’ultimo continua a trasferire esclusivamente sull’Eurozona la responsabilità del fallimento finanziario dello Stato ellenico, rifiutandosi di dire ai propri cittadini che quel fallimento ha cause principalmente domestiche. Come se non bastasse, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, rende pubblico, in una conferenza negli Stati Uniti, il dissenso del suo governo nei confronti della Francia, incapace di fare le necessarie riforme per via dei vincoli elettorali che condizionerebbero il presidente François Hollande. Non c’è un asse franco-tedesco, c’è solo la Germania con il suo modello di successo. Nel frattempo, gli spread tra i titoli pubblici dei Paesi periferici e quello tedesco hanno ripreso a salire, rendendo più pesante la finanza pubblica nei primi e più leggera nel secondo. Che sia per ostinata convinzione (in Germania), oppure per puro interesse (negli altri Paesi) o per cecità nazionalista (in Grecia), il risultato è che lo scorpione continua a sbattere contro la bottiglia.
Naturalmente è plausibile pensare che tutto, alla fine, si accomoderà, come era avvenuto nel passato e come continuerà ad avvenire nel futuro. La narrativa teleologica è molto diffusa: l’integrazione europea è il risultato di un processo storico che nessuno potrà mai fermare. In realtà la storia è piena di fallimenti politici. Questi ultimi sono la regola, non già l’eccezione. E l’eccezione si verifica a due condizioni: qualità dei leader e adeguatezza delle istituzioni. Considero solo le seconde, rispondendo così alle obiezioni di Antonio Padoa Schioppa, pubblicate su Il Sole 24 Ore del 14 aprile, ad un mio precedente articolo. Padoa Schioppa è d’accordo con me che lo scorpione dell’Eurozona è dovuto all’idea sbagliata che si possa gestire una moneta singola con il coordinamento di 19 politiche nazionali. Molti, invece, continuano a difendere questo modello di governance, anche coloro che ne pagano di più le conseguenze. Come il governo Tsipras che denuncia il dominio dei Paesi cre- ditori ma non vuole riconoscere le basi istituzionali di quel dominio. Difendendo il coordinamento intergovernativo crede di difendere il proprio interesse nazionale, ma lavora in realtà per l’interesse nazionale dei Paesi più grandi.
Contrariamente a me, però, Padoa Schioppa ritiene che l’alternativa al coordinamento risieda in un governo parlamentare dell’Eurozona. Per capirsi, il parlamentarismo è un sistema di governo in cui il legislativo è la sede esclusiva della volontà popolare. Adottato in uno Stato federale (come la Germania, l’Austria, il Belgio, il Canada, l’Australia, ma anche l’India), ciò implica che la camera popolare è la depositaria esclusiva della formazione/sfiducia del governo. Tutto è semplice: gli elettori votano per la camera popolare e quest’ultima dà la fiducia al governo. Contemporaneamente, secondo modalità diverse, vengono eletti i rappresentanti della camera alta di rappresentanza dei territori (Laender, Province, Regioni), ma quest’ultima non ha poteri di governo. Applicato all’Eurozona, ciò significherebbe dare i poteri di governo al parlamento, la cui maggioranza dovrebbe scegliere la commissione e il suo presidente. Perché questo sistema non può funzionare nell’Eurozona, come non ha potuto affermarsi dopo tanti anni nell’Unione europea? Perché là dove vi sono forti asimmetrie demografiche e differenziazioni nazionali tra Stati, là è impossibile istituire un’unica ed esclusiva sede della volontà politica, il parlamento (appunto). Nonostante la “proporzionalità degressiva” che sovra-rappresenta gli Stati piccoli, questi ultimi (che sono la grande maggioranza dell’Eurozona e dell’Ue) continuerebbero ad avere una minoranza di seggi nel parlamento, con l’esito di incidere poco sulla formazione della commissione e del suo presidente. Non stupisce, infatti, che le unioni federali nate per aggregazione di Stati precedentemente indipendenti e asimmetrici (come gli Stati Uniti e la Svizzera) si sono date un sistema di governo basato sulla separazione dei poteri, non già sulla loro fusione centralizzata nella camera popolare. In sistemi a separazione dei poteri, infatti, le decisioni sono prese attraverso il concorso di istituzioni distinte che, grazie ad un meccanismo di controlli e bilanciamenti, tengono in equilibrio gli interessi degli Stati più grandi con gli interessi di quelli più piccoli. Se i piccoli sono minoranza in una camera, possono però farsi sentire nell’altra camera, oltre che incidere sulla formazione o composizione dell’esecutivo. Le forme della separazione possono essere diverse, ma ciò che conta è prevenire le gerarchie di potere tra gli Stati (come è invece avvenuto nell’Eurozona).
Naturalmente, non si tratta di sistemi semplici come quello parlamentare (basti vedere cosa sta succedendo a Washington). Non ci sono però scorciatoie, se si vogliono aggregare democraticamente Stati di diverse dimensioni e di diverse nazionalità. Ciò richiede un nuovo trattato dell’Eurozona. Sarà anche difficile farlo, ma solo così si potrà impedire allo scorpione di uccidere sé stesso.