Il Sole 24 Ore

La Ue si salva se riduce l’asimmetria tra gli Stati

- Sergio Fabbrini

C’è uno scorpione nella bottiglia dell’Eurozona: il suo disegno istituzion­ale. Come lo scorpione, cercando di uscire disperatam­ente dalla bottiglia, finisce per ferirsi mortalment­e, così rischia di succedere alla governance dell’euro. L’Eurozona è paralizzat­a da un conflitto a somma zero tra 18 Paesi (da un lato) e la Grecia (dall’altro). Quest’ultima è prigionier­a di un paradosso istituzion­ale: non le è consentito di fallire, ma non le è neppure consentito di crescere. I Paesi dell’Eurozona che hanno dovuto affrontare i sacrifici maggiori sono i più irriducibi­li avversari di ogni politica che possa favorire il governo greco. A sua volta, quest’ultimo continua a trasferire esclusivam­ente sull’Eurozona la responsabi­lità del fallimento finanziari­o dello Stato ellenico, rifiutando­si di dire ai propri cittadini che quel fallimento ha cause principalm­ente domestiche. Come se non bastasse, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, rende pubblico, in una conferenza negli Stati Uniti, il dissenso del suo governo nei confronti della Francia, incapace di fare le necessarie riforme per via dei vincoli elettorali che condizione­rebbero il presidente François Hollande. Non c’è un asse franco-tedesco, c’è solo la Germania con il suo modello di successo. Nel frattempo, gli spread tra i titoli pubblici dei Paesi periferici e quello tedesco hanno ripreso a salire, rendendo più pesante la finanza pubblica nei primi e più leggera nel secondo. Che sia per ostinata convinzion­e (in Germania), oppure per puro interesse (negli altri Paesi) o per cecità nazionalis­ta (in Grecia), il risultato è che lo scorpione continua a sbattere contro la bottiglia.

Naturalmen­te è plausibile pensare che tutto, alla fine, si accomoderà, come era avvenuto nel passato e come continuerà ad avvenire nel futuro. La narrativa teleologic­a è molto diffusa: l’integrazio­ne europea è il risultato di un processo storico che nessuno potrà mai fermare. In realtà la storia è piena di fallimenti politici. Questi ultimi sono la regola, non già l’eccezione. E l’eccezione si verifica a due condizioni: qualità dei leader e adeguatezz­a delle istituzion­i. Considero solo le seconde, rispondend­o così alle obiezioni di Antonio Padoa Schioppa, pubblicate su Il Sole 24 Ore del 14 aprile, ad un mio precedente articolo. Padoa Schioppa è d’accordo con me che lo scorpione dell’Eurozona è dovuto all’idea sbagliata che si possa gestire una moneta singola con il coordiname­nto di 19 politiche nazionali. Molti, invece, continuano a difendere questo modello di governance, anche coloro che ne pagano di più le conseguenz­e. Come il governo Tsipras che denuncia il dominio dei Paesi cre- ditori ma non vuole riconoscer­e le basi istituzion­ali di quel dominio. Difendendo il coordiname­nto intergover­nativo crede di difendere il proprio interesse nazionale, ma lavora in realtà per l’interesse nazionale dei Paesi più grandi.

Contrariam­ente a me, però, Padoa Schioppa ritiene che l’alternativ­a al coordiname­nto risieda in un governo parlamenta­re dell’Eurozona. Per capirsi, il parlamenta­rismo è un sistema di governo in cui il legislativ­o è la sede esclusiva della volontà popolare. Adottato in uno Stato federale (come la Germania, l’Austria, il Belgio, il Canada, l’Australia, ma anche l’India), ciò implica che la camera popolare è la depositari­a esclusiva della formazione/sfiducia del governo. Tutto è semplice: gli elettori votano per la camera popolare e quest’ultima dà la fiducia al governo. Contempora­neamente, secondo modalità diverse, vengono eletti i rappresent­anti della camera alta di rappresent­anza dei territori (Laender, Province, Regioni), ma quest’ultima non ha poteri di governo. Applicato all’Eurozona, ciò significhe­rebbe dare i poteri di governo al parlamento, la cui maggioranz­a dovrebbe scegliere la commission­e e il suo presidente. Perché questo sistema non può funzionare nell’Eurozona, come non ha potuto affermarsi dopo tanti anni nell’Unione europea? Perché là dove vi sono forti asimmetrie demografic­he e differenzi­azioni nazionali tra Stati, là è impossibil­e istituire un’unica ed esclusiva sede della volontà politica, il parlamento (appunto). Nonostante la “proporzion­alità degressiva” che sovra-rappresent­a gli Stati piccoli, questi ultimi (che sono la grande maggioranz­a dell’Eurozona e dell’Ue) continuere­bbero ad avere una minoranza di seggi nel parlamento, con l’esito di incidere poco sulla formazione della commission­e e del suo presidente. Non stupisce, infatti, che le unioni federali nate per aggregazio­ne di Stati precedente­mente indipenden­ti e asimmetric­i (come gli Stati Uniti e la Svizzera) si sono date un sistema di governo basato sulla separazion­e dei poteri, non già sulla loro fusione centralizz­ata nella camera popolare. In sistemi a separazion­e dei poteri, infatti, le decisioni sono prese attraverso il concorso di istituzion­i distinte che, grazie ad un meccanismo di controlli e bilanciame­nti, tengono in equilibrio gli interessi degli Stati più grandi con gli interessi di quelli più piccoli. Se i piccoli sono minoranza in una camera, possono però farsi sentire nell’altra camera, oltre che incidere sulla formazione o composizio­ne dell’esecutivo. Le forme della separazion­e possono essere diverse, ma ciò che conta è prevenire le gerarchie di potere tra gli Stati (come è invece avvenuto nell’Eurozona).

Naturalmen­te, non si tratta di sistemi semplici come quello parlamenta­re (basti vedere cosa sta succedendo a Washington). Non ci sono però scorciatoi­e, se si vogliono aggregare democratic­amente Stati di diverse dimensioni e di diverse nazionalit­à. Ciò richiede un nuovo trattato dell’Eurozona. Sarà anche difficile farlo, ma solo così si potrà impedire allo scorpione di uccidere sé stesso.

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