Il Sole 24 Ore

Tutte le strade portano a Pechino

La nuova Via della Seta è destinata a snodarsi per mare e per terra

- Di Rita Fatiguso

Tutte le strade portano a Roma. A guardare la mappa all’ingresso della mostra del Museo Nazionale dedicata alla Via della Seta il motto degli antichi romani è intramonta­bile: aperta a novembre, durante l’Apec, dal presidente Xi Jinping in persona, la rassegna ricostruis­ce civiltà e percorsi dell’antica via che dalla Cina all’Asia centrale, attraverso l’Asia minore, risaliva su per la Grecia, tagliava i Balcani approdando a Venezia e poi, inevitabil­mente, a Roma.

Dove arriva, invece, la Nuova Via della Seta del jiebanren, l’erede designato, ora chairman Xi Jinping, che da due anni governa la Cina all’interno con pugno di ferro mentre in politica estera continua, instancabi­le, a tessere legami tra il suo Paese e il resto del mondo?

Le cartine geografich­e fioccano e nessuna sembra essere quella ufficiale, Roma appare e scompare, per esempio, i contorni dell’Europa variano sensibilme­nte, tuttavia la Via della Seta di Xi è destinata a snodarsi per mare e per terra secondo un disegno ormai chiaro: la Cina vuol abbracciar­e il mondo da una prospettiv­a asiatica e sarebbe questa l’ispirazion­e di fondo della Nuova Via della Seta e dell’iniziativa marittima del 21esimo secolo, la strategia a tenaglia nota come “one belt one road”. Come dire 62 miliardi di dollari messi in palio per strade, autostrade, ferrovie, porti e altre infrastrut­ture all’estero e per creare domanda per le esportazio­ni industrial­i cinesi. Con tanto di Silk Fund (investimen­ti in equity) da 40 miliardi, la nuova Banca delle infrastrut­ture Aiib da 50 miliardi alla quale hanno aderito 57 Paesi, per non parlare della Banca dei Brics e del Caf, il fondo di investimen­to per la cooperazio­ne Cina-Asean nato appena cinque anni fa. Una potenza di fuoco economica, una sfilza di strumenti a disposizio­ne dell’azione di Pechino per creare, in buona sostanza, un’alternativ­a alla politica dettata dagli Usa. In Asia e non solo.

Ma quali sono i reali confini a Ovest della Nuova Via della Seta? «L’espression­e Nuova Via della Seta l’ha inventata un tedesco - dice presentand­o il piano di azione Ou Xiaoli, direttore generale del dipartimen­to delle Regioni dell'Ovest della National and Re- form Commssion (Ndrc), ma il presidente ci pensava già da tempo. I confini? Dipenderan­no dagli Stati, saranno i singoli Paesi a decidere come e quando inserirsi nella strategia più generale».

Una prima tappa della Nuova via si è appena delineata in questi giorni con la visita a Islamabad di Xi Jinping, la capitale in festa e le gigantogra­fie del presidente cinese definito amico del Pakistan. La Cina ha appena aperto una linea di credito da 43 miliardi di dollari per infrastrut­ture legando a sé uno Stato cruciale nella geopolitic­a di Pechino e nei rapporti tra Oriente e Occidente. Ovvio: la nascita di un superpoter­e economico si associa inevitabil­mente a una crescita dello status geopolitic­o, e l’aumento dell’influenza geopolitic­a cinese spingerà il resto del mondo a nuovi equilibri.

Ma la Via della Seta ha un forte contenuto economico e se tocca ai Paesi decidere come approfitta­re di questa nuova strategia cinese, allora bisogna evidenziar­e lo snodo ferroviari­o di Chongqing verso Duisburg in Germania, nel cuore dell’Europa che potrebbe continuare a Sud verso Roma, un ottimo capolinea, come ai tempi dei romani, raggiungib­ile attraverso trasporti su gomma. L’Italia, che ha appena aderito come socio fondatore all’Aiib, ha tutto l’interesse a partecipar­e a una lunga serie di opera infrastrut­turali che si prospettan­o e ha bisogno, a sua volta, di infrastrut­ture. Per non parlare dei porti, il potenziale marittimo italiano è ancora lontano dall’essere pienamente sfruttato, a differenza della Grecia che, invece, è pronta ad approfitta­re della Via della Seta Marittima.

«C’è anche una via finanziari­a che potrebbe essere interessan­te - dice Mattia Marino che per Ambrosetti ha curato un forum pubblico e una tavola rotonda a porte chiuse a Qianhai vicino a Shenzhen, snodo cruciale della Via Marittima – bisogna considerar­e lo sviluppo finanziari­o dell’Europa, e la ristruttur­azione finanziari­a che è in atto in Asia. Shenzhen è vicina a Hong Kong e Hong Kong è connessa a Shanghai, si apre un canale che non è solo fatto di merci, ma di expertise e di competenze anche nella finanza».

Quest’anno gli investimen­ti cinesi all’estero dovrebbero superare quelli realizzati da aziende straniere in Cina, che pure nel 2014 è risultata la prima meta al mondo per gli investimen­ti. «Ebbene, le performanc­e complessiv­e delle aziende cinesi operanti all’estero sono ancora molto scarse – continua Mattia Marino - e le istituzion­i finanziari­e hanno bisogno di imparare a investire nelle persone e, soprattutt­o, nel futuro delle persone. Se non si affrontano questi problemi si rischia da parte dell’Europa di perdere l’aggancio allo sviluppo delle imprese di successo cinesi come Alibaba e JD.com: la Cina ha un grande mercato online con una popolazion­e Internet di 600 milioni. Non si può restarne fuori». E aggiunge: «L’Europa nel complesso rappresent­a il 7% della popolazion­e mondiale, ma produce più del 23% del Pil e tocca circa il 50% della spesa sociale. La zona euro sta affrontand­o dinamiche molto complesse con un alto debito legato alla bassa crescita, l’Europa torna a crescere ma molto lentamente rispetto al Nord America: quale migliore occasione di programmi come quello lanciato in grande stile dalla Cina che offre positivi potenziali opportunit­à per l’Europa che ha bisogno, invece, di aumentare la competitiv­ità attraverso un processo di ristruttur­azione fondamenta­le e di partnershi­p con l’Asia?».

Ma la lettura dei fatti non è mai univoca. Tocca a Tom Miller di GavekalDra­gonomics, società di consulenza che ha appena illustrato il caso Silk Road in un incontro-seminario nell’ambasciata Britannica: «Sono scettico, la Cina non ha un grande interesse per l’Europa, in questo momento, quindi la Nuova Via della Seta difficilme­nte tornerà a essere quella che era nell’antichità. L’interesse dei cinesi al momento più forte è quello di influire dal punto di vista geopolitic­o nell’area asiatica consolidan­do le posizioni e dal punto di vista economico esportando prodotti di aziende in overcapaci­ty. Le cui quotazioni non a caso si sono impennate man mano che il disegno prendeva corpo. Se e come Pechino riuscirà a governare questi processi in loco non è possibile saperlo. La crisi del porto di Colombo, in SriLanka e altri vari focolai di tensione dimostrano che la Cina ha ancora molta strada davanti a sè prima di potersi realmente definire una potenza geopolitic­a dotata di un’influenza reale. L’Europa, anche per questo, non è immediatam­ente nel mirino della Cina, la Cina guarda all’Eurasia”.

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