Il Sole 24 Ore

Mercati, la curiosa scomparsa del rischio

Tanto ottimismo s’è manifestat­o con utili societari in calo e l’economia Usa che sta rallentand­o

- Di Walter Riolfi

Era ora che anche il Nasdaq toccasse una nuova vetta, dopo 15 anni, un mese e 14 giorni da quel 10 marzo 2000 che segnò il culmine della follia collettiva sulle borse internazio­nali. Ed è giusto che anche l’indice S&P500 si sia riportato sul record di un mese e mezzo fa, perché il mestiere delle borse è quello di salire. La nuova (e relativame­nte moderata) euforia dei mercati azionari la si legge pure nell’indice Vix che, in qualche modo, è la misura del rischio percepito dagli operatori: un “rischio” sceso a 12, la metà di quanto si avvertiva 4 mesi fa; più o meno i livelli già sperimenta­ti a metà dello scorso anno e che si videro negli spensierat­i anni 2006-2007. Di contro, il prezzo dell’oro è sceso di oltre 30 dollari, proprio mentre le azioni di Wall Street scalavano nuovi picchi. Borse e oro sono le facce della stessa medaglia: si comprano azioni perché non c’è alcun rischio e si vende il metallo perché non è il caso di proteggers­i da qualche inesistent­e pericolo.

Con questo non si vuol dire che le borse siano in bolla, perché c’è ben altra follia sui mercati finanziari e, come 8 anni fa, riguarda ancora i mercati del credito. E poi, anche se le azioni fossero in bolla speculativ­a, le conseguenz­e non sarebbero così catastrofi­che come avvenne nel 2008. Nemmeno nel 2000, dopo il crollo delle borse, ci fu il disastro, perché le maggiori economie finirono al massimo in una contenuta recessione tecnica. Non per questo sono razionali i nuovi record di Wall Street. Se il Nasdaq, capitalizz­ando 22 volte gli utili, rappresent­i un’occasione d’investimen­to, è solo la psi- cologia a suggerirlo. Se il Nyse, capitalizz­ando 17,8 volte gli utili previsti a fine 2015, ha guadagnato il 3% quest’anno è solo perché un sistema (perverso) di valutazion­i lo giudica a buon mercato relativame­nte alla follia obbligazio­naria. È vero che qualche operatore in America ha avuto il coraggio di sostenere che gli utili aziendali del primo trimestre sarebbero migliori delle attese. Forse di quelle già ribassate un mese fa: perché gli utili del trimestre sono in calo dell’1,1%, quando a inizio anni ci si immaginava una crescita del 5,3% (dati Thomson Reuters) e quelli del 2015 finiranno pressoché immutati, quando 4 mesi fa ci si illudeva potessero crescere di oltre l’8%. Meglio comprare i titoli europei, si potrebbe sostenere. Forse: perché capitalizz­ando 17,8 volte gli utili 2015 (Thomson Reuters) sono cari quanto quelli americani, per quanto è più probabile, con un euro debole, vedere una discreta crescita dei profitti in Europa nel 2016 piuttosto che negli Stati Uniti.

Detto questo, si possono ancora comprare le azioni, perché le valutazion­i fondamenta­li contano assai poco quando l’umore è alle stelle. E soprattutt­o le borse possono ancora attrarre fin tanto che le banche centrali terranno i tassi a zero e perseverer­anno nelle politiche non convenzion­ali: cosicché non si sa più dove mettere i soldi, perché due terzi dei titoli di Stato d’Eurozona hanno rendimenti negativi e pure il Treasury a 10 anni Usa ti darebbe sì e no 40 centesimi al netto dell’inflazione ( core). Quanto possa durare questa assurdità è difficile dire. Di certo parecchi mesi. Con un dollaro forte che deprime ricavi e profitti di parecchie aziende americane, con un’economia che cresce ben sotto le aspettativ­e e con una bassa inflazione, alzare i tassi è un lusso che la Fed non può permetters­i. Farà la voce grossa di tanto in tanto, lascerà sfogare i pochi “falchi” del suo consiglio, fingendo indipenden­za dal Tesoro; e poi si vedrà il prossimo anno come vanno le cose: in casa e nel resto del mondo.

La Bce e la Banca del Giappone perseverer­anno nel comprare i titoli di Stato, sostenendo i bilanci dei governi e delle banche e reclamizza­ndo i piccoli progressi delle economie d’Eurozona. Le banche e la speculazio­ne (e non sono gli hedge fund) cercherann­o di lucrare ulteriorme­nte sui titoli di Stato, facendoli salire oltre il limite del buon senso, accampando il pretesto della scarsità. Perchè in un mondo, dove la carta sul credito è aumentata a dismisura, s’è vista moltiplica­re ancor di più la liquidità, grazie alle banche centrali. E troppo denaro in giro reclama sempre più carta su cui “investire”.

Base 31/12/1991 = 100

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