La Corte e il rispetto delle compatibilità economiche
Non è un incidente di percorso ma neppure una marcia indietro sulla strada delle «compatibilità economiche». La sentenza della Corte costituzionale sulla perequazione delle pensioni (n.70 del 2015) non è un fulmine a ciel sereno ma rientra nel novero delle decisioni possibili e per certi versi annunciate dai numerosi moniti al legislatore, contenuti in precedenti pronunce, proprio quelle in cui le esigenze di bilancio hanno avuto la prevalenza nel bilanciamento con i diritti dei pensionati, in considerazione dell’«eccezionale emergenza finanziaria» (valga per tutte la sentenza n. 316 del 2010). In quei precedenti, la qualità dell’intervento legislativo fu ritenuta rispettosa dei principi costituzionali - così come richiamati nella giurisprudenza della Corte - e non scadente o comunque inadeguata come nel caso, invece, del decreto «Salva Italia» del 2011, perciò bocciato dalla Consulta. Questo è il succo della vicenda, che non può non preoccupare per le gravissime ricadute sui conti pubblici ma che non sbarra la strada ad altre, future, manovre purché i governi di turno si mantengano all’interno del perimetro costituzionale e non eludano, in particolare, i paletti dell’«eccezionalità» e della «temporaneità» delle misure, oltre che della loro «ragionevolezza» visto che in gioco ci sono diritti fondamentali.
Certo, il fatto che la Corte si sia spaccata significa che poteva anche andare diversamente. Che, cioè, ci fossero i margini anche per un diverso «bilanciamento» dei valori in gioco. Quando il 10 marzo scorso, subito dopo l’udienza pubblica, i 12 dei 15 giudici presenti a Palazzo della Consulta (uno era assente per malattia - Giorgio Lattanzi - mentre gli altri due devono ancora essere eletti dal Parlamento) sono passati alla votazione, è finita 6 a 6, e il voto del presidente Alessandro Criscuolo ha fatto la differenza (vale doppio, in caso di parità) anche se, di fatto, non c’è stata una maggioranza. Che avrebbe potuto esserci se il collegio fosse stato al completo. Sarà solo una coincidenza temporale, ma proprio Criscuolo, nella tradizionale conferenza stampa tenutasi il 12 marzo scorso (due giorni dopo la decisione, allora ancora non pubblica) disse che «il delicato compito della ricerca del giusto bilanciamento dei valori costituzionali in gioco è fisiologicamente “condizionato” dalla diversa composizione del collegio».
I due giudici che mancano ancora all’appello - entrambi di nomina parlamentare - dovranno essere scelti uno in quota centrosinistra e l’altro in quota centrodestra e sostituiranno Sergio Mattarella (uscito a fine gennaio) e Luigi Mazzella (fuori dal 28 giugno 2014). Peraltro, a luglio scadrà dal mandato Paolo Maria Napolitano (anch’egli in quota centrodestra) che già adesso, però, non partecipa più alle udienze, per cui la Corte lavora a ranghi ridottissimi, con tutte le conseguenze che ne derivano, compresa quella indicata da Criscuolo. Una Corte zoppa.
Tuttavia, se questa zoppìa pesa sulle decisioni, pesano anche i precedenti giurisprudenziali, ai quali la Corte è fortemente ancorata. Perciò la vicenda della perequazione delle pensioni non può considerarsi un fulmine a ciel sereno, neppure sulla strada delle «compatibilità economiche», ormai imboccata con determinazione e di cui la sentenza sulla «Robin tax» è stata un caso emblematico. La Corte ha infatti deciso di contenere gli effetti retroattivi della pronuncia di illegittimità costituzionale facendosi carico dell’impatto economico che avrebbero avuto. Sempre Criscuolo ha ricordato che «le restituzioni dei versamenti tributari avrebbero determinato uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva. Paradossalmente - ha spiegato - la regola della retroattività avrebbe determinato effetti ancora più incompatibili con la Costituzione di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa». Anche nella vicenda del «Salva Italia» i 6 giudici convinti dell’illegittimità del decreto avrebbero voluto seguire questa strada, risultata però tecnicamente impraticabile. Di qui il muro contro muro, anche se nessun appartenente ai due schieramenti ha chiesto uno slittamento della votazione per cercare di ampliare la maggioranza. Si è preferito andare al voto subito.
Il problema delle «compatibilità economiche» si è posto 25 anni fa, durante la presidenza di Francesco Saja, nettamente contrario. Le cronache giorna- listiche ricordano i suoi scontri con l’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato, ora giudice costituzionale. A poco a poco l’atteggiamento della Corte è cambiato e la sua attenzione ai conti pubblici è cresciuta. Al punto da metterla in rotta di collisione con la Corte di Strasburgo. È accaduto circa due anni fa, sempre in materia pensionistica. Era in ballo la legittimità di una norma interpretativa (retroattiva) sul calcolo delle pensioni maturate in Svizzera da cittadini italiani. La Consulta ritenne legittima l’interpretazione favorevole all’Inps facendosi carico proprio delle «compatibilità economiche», mentre la Corte di Strasburgo la bocciò ritenendo prevalente la tutela dei diritti fondamentali dei pensionati. La questione tornò quindi alla Consulta, che confermò il suo via libera, nonostante il no di Strasburgo, e il peso che ormai hanno «le compatibilità economiche».
I VALORI IN GIOCO Il fatto che i giudici costituzionali si siano spaccati significa che potevano anche esserci i margini per un diverso bilanciamento dei valori in gioco