Il Sole 24 Ore

Con il recupero dell’inflazione la spesa cresce

- D. Col.

rivalutazi­one degli assegni Inps all’inflazione rappresent­a uno dei due “motori” della crescita della spesa previdenzi­ale, essendo l’altro il cosiddetto “effetto rinnovo”, che consiste invece nella normale sostituzio­ne di pensioni nuove e più pesanti rispetto a quelle cessate in un determinat­o anno. Nel 2013, ultimo esercizio utile per un bilancio di questo tipo, la spesa previdenzi­ale al netto delle gestioni assistenzi­ali è cresciuta, per effetti dell’indicizzaz­ione e delle “sostituzio­ni”, dell’1,65%, passando da 211,08 a 214,5 miliardi. Il calcolo è contenuto nel «Bilancio del sistema previdenzi­ale italiano» stilato due settimane fa da Itinerari previdenzi­ali, il cui comitato scientific­o di fatto coincide con il vecchio Nucleo di valutazion­e della spesa previdenzi­ale.

Il criterio di indicizzaz­ione resta uno dei fattori chiave per il controllo della spesa, anche se la “quasi deflazione” che stiamo attraversa­ndo ne ha un po’ attenuato la portata. Ieri Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenzi­ali ed ex responsabi­le del Nucleo, ha fatto un suo calcolo sul costo della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzio­nale dal quale risultereb­be un impatto minore di quelli circolati finora. Calcolando il “costo” dell’inflazione da restituire su un monte pensioni di 154 miliardi nel 2012 e 159 nel 2013 (quelle sopra la soglia di tre volte il minimo) risulta a Brambilla un onere lordo di 6,5-6,6 miliardi che al netto del prelievo medio Irpef scende a 4,3 miliardi netti. Applicando le regole di indicizzaz­ione pre-Fornero, il costo scenderebb­e ancora, a 5,6 miliardi lordi e 3,6 netti «che ripartiti in tre anni sono 1,2 miliardi l’anno» spiega Brambilla.

Sono stime utili e nuove, da registrare in attesa di quelle ufficiali che arriverann­o dal ministero dell’Economia e dall’Inps. E in attesa, soprattutt­o, delle determinaz­ioni che assumerà il Governo in osservanza della sentenza della Consulta.

In questo momento il meccanismo di indicizzaz­ione in vigore è quello previsto dalla legge di Stabilità 2014 che applica per il triennio fino al 2016 le percen- tuali di perequazio­ne rimodulate della legge 488 del 1998. Ovvero: da zero a tre volte il minimo (1.215 euro netti) il 100% dell ’ i ndicizzazi­one; da tre a quattro volte (1.620 euro) il 95%; da 4 a 5 volte (2.025 euro) il 75%; da 5 a 6 volte (2.430) il 50%; da 6 volte il 40% per il 2014 e il 45% per 2015 e 2016.

Che cosa accadrà nel 2017? Senza una diversa decisione del Governo si tornerebbe alla cosiddetta indicizzaz­ione standard, che era in vigore nel 2007, prima degli interventi di emergenza che si sono succeduti. Ossia: indicizzaz­ione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattament­o minimo; 90% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 5 volte il trattament­o minimo: 75% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il minimo.

È tra questi paletti normativi che dovrà muoversi Palazzo Chigi guardando soprattutt­o alle compatibil­ità economiche della scelta finale. E dovrà farlo partendo, evidenteme­nte, dal primo paletto utile dopo la cancellazi­one delle norme incostituz­ionali del Salva-Italia. Prima di quel decreto legge c’era una indicizzaz­ione su due soglie: al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 5 volte il trattament­o minimo e del 75% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il minimo. Uno schema valso tra il 2009 e il 2010 e che, nelle simulazion­i che dovrà effettuare l’Inps, potrebbero valere come base legale per il ricalcolo dell’inflazione perduta nel biennio 2012-2013. Si vedrà quali scelte verranno adottate sapendo che, oltre ai calcoli tecnici, sentenza della Corte alla mano sarà fondamenta­le la motivazion­e che accompagne­rà le nuove regole.

SOMME RIDIMENSIO­NATE Alberto Brambilla (Itinerari previdenzi­ali): applicando le regole pre-Fornero il costo netto reale potrebbe essere di 1,2 miliardi l’anno per tre anni

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