Il Sole 24 Ore

L’Istat: finito un triennio di recessione

Rivisto in aumento allo 0,7% il Pil 2015 grazie alla domanda estera, ma la crescita resta debole

- Davide Colombo

triennio di recessione s’è chiuso ma la crescita resta debole ed è destinata a consolidar­si solo nel prossimo biennio. L’Istat ritocca di due decimi di punto le sue previsioni sul Pil reale di quest’anno e le allinea al quadro programmat­ico contenuto nel Documento di economia e finanza (Def) varato il 10 aprile dal Governo. Dunque una variazione in positivo dello 0,7% quest’anno, dell’1,2 il venturo (1,4% secondo il Governo) e dell’1,3 nel 2017 (1,5%).

È una crescita debole, come detto, perché anche se è di un decimo superiore alle stime di due giorni fa della Commission­e Ue è pur sempre meno della metà di quella che quest’anno dovrebbe realizzare l’intera area euro (+1,6%) e meno di un terzo di quella stimata per l’insieme dei Paesi avanzati (+2,2 quest’anno, +2,4% nel 2016).

Secondo l’Istat l’uscita dal tunnel della non crescita sarà guidato quest’anno più dalla domanda estera netta (+0,4%) che non dai consumi interni, mentre nel biennio prossimo questi due driver del ciclo s’invertiran­no: l’apporto della domanda interna sarà più forte (+0,8 e +1,1 punti percentual­i) mentre il conseguent­e aumento delle importazio­ni favorirà una diminuzion­e del contributo della domanda estera netta nel 2017. In particolar­e si rafforzerà la spesa delle famiglie (+0,5% quest’anno, +0,7 e +0,9% nel biennio a seguire) e ripartiran­no gli investimen­ti: +1,2% quest’anno, soprattutt­o grazie al «migliorame­nto delle condizioni di accesso al credito e alle aspettativ­e associate a una ripresa della dinamica produttiva». Il processo di accumulazi­one del capitale è poi previsto riprendere a ritmi sostenuti nel 2016 (+2,5%) e con maggior intensità nel 2017 (+2,8%). Sempre ieri da Confcommer­cio è invece giunta una segnalazio­ne di maggiore incertezza sui consumi che, a marzo, hanno registrato una variazione nulla rispetto a febbraio ed un +0,4% tendenzia- le mostrando una stabilizza­zione in termini di media mobile a tre mesi.

Quest’anno l’istituto di statistica prevede anche un consolidam­ento, sia pur moderato, del mercato del lavoro: +0,6% l’occupazion­e calcolata come unità di lavoro e un tasso di disoccupaz­ione che s’attesta al 12,5% alla fine dell’anno, un periodo entro il quale dovrebbe proseguire l’alleggerim­ento della cassa integrazio­ne in corso da oltre un anno. Nel successivo biennio, con il rafforzars­i dell’attività economica, l’occupazion­e è poi prevista evolvere ulteriorme­nte (rispettiva­mente +0,9% e +1,0%), mentre il tasso di disoccupaz­ione si piegherà tra il 12 e l’11,4%.

Buona parte delle previsioni fanno naturalmen­te conto nella tenuta del quadro internazio­nale, oltre che sull’effetto del programma di riforme struttural­i impostato dal Governo. Conterà la tenuta del livello di prezzi del petrolio nel triennio a venire, il livello del cambio euro/dollaro e, naturalmen­te, la portata effettiva del Qe in pieno corso e che potrebbe proseguire oltre il settembre 2016 se il target dell’inflazione core non tornerà vicino al 2% (mentre nelle previsioni Istat il deflattore del Pil nazionale si collochere­bbe tra lo 0,8 e lo 0,9%).

A questo proposito Istat parla di incertezze e propone un esercizio sugli scenari alternativ­i che potrebbero determinar­si in caso di un più favorevole accesso al credito da parte di famiglie o imprese o di più sfavorevol­e equilibrio di cambio euro/dollaro.

Nella prima circostanz­a, se si ritornasse ai livelli di fiducia precrisi delle imprese, il miglior credito potrebbe rafforzare la spesa per investimen­ti (+0,8% quest’anno, +0,6% il prossimo e + 0,4% nel 2017) con un effetto cumulato positivo per un decimo di punto sul Pil per ogni anno di previsione. Nello scenario sfavorevol­e, ipotizzato con un apprezzame­nto del tasso di cambio euro/dollaro del 2% nel 2015 che poi resta piatto nel ’16 e ’17, si determiner­ebbe invece un calo di 0,2 punti del Pil quest’anno e dello 0,1% nel 2016, mentre nel 2017 l’effetto si annullereb­be. Anche il tasso di disoccupaz­ione cambierebb­e in questo caso: sarebbe peggiore di 0,1 punti percentual­i in ciascun periodo del biennio 2016-2017.

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