L’Istat: finito un triennio di recessione
Rivisto in aumento allo 0,7% il Pil 2015 grazie alla domanda estera, ma la crescita resta debole
triennio di recessione s’è chiuso ma la crescita resta debole ed è destinata a consolidarsi solo nel prossimo biennio. L’Istat ritocca di due decimi di punto le sue previsioni sul Pil reale di quest’anno e le allinea al quadro programmatico contenuto nel Documento di economia e finanza (Def) varato il 10 aprile dal Governo. Dunque una variazione in positivo dello 0,7% quest’anno, dell’1,2 il venturo (1,4% secondo il Governo) e dell’1,3 nel 2017 (1,5%).
È una crescita debole, come detto, perché anche se è di un decimo superiore alle stime di due giorni fa della Commissione Ue è pur sempre meno della metà di quella che quest’anno dovrebbe realizzare l’intera area euro (+1,6%) e meno di un terzo di quella stimata per l’insieme dei Paesi avanzati (+2,2 quest’anno, +2,4% nel 2016).
Secondo l’Istat l’uscita dal tunnel della non crescita sarà guidato quest’anno più dalla domanda estera netta (+0,4%) che non dai consumi interni, mentre nel biennio prossimo questi due driver del ciclo s’invertiranno: l’apporto della domanda interna sarà più forte (+0,8 e +1,1 punti percentuali) mentre il conseguente aumento delle importazioni favorirà una diminuzione del contributo della domanda estera netta nel 2017. In particolare si rafforzerà la spesa delle famiglie (+0,5% quest’anno, +0,7 e +0,9% nel biennio a seguire) e ripartiranno gli investimenti: +1,2% quest’anno, soprattutto grazie al «miglioramento delle condizioni di accesso al credito e alle aspettative associate a una ripresa della dinamica produttiva». Il processo di accumulazione del capitale è poi previsto riprendere a ritmi sostenuti nel 2016 (+2,5%) e con maggior intensità nel 2017 (+2,8%). Sempre ieri da Confcommercio è invece giunta una segnalazione di maggiore incertezza sui consumi che, a marzo, hanno registrato una variazione nulla rispetto a febbraio ed un +0,4% tendenzia- le mostrando una stabilizzazione in termini di media mobile a tre mesi.
Quest’anno l’istituto di statistica prevede anche un consolidamento, sia pur moderato, del mercato del lavoro: +0,6% l’occupazione calcolata come unità di lavoro e un tasso di disoccupazione che s’attesta al 12,5% alla fine dell’anno, un periodo entro il quale dovrebbe proseguire l’alleggerimento della cassa integrazione in corso da oltre un anno. Nel successivo biennio, con il rafforzarsi dell’attività economica, l’occupazione è poi prevista evolvere ulteriormente (rispettivamente +0,9% e +1,0%), mentre il tasso di disoccupazione si piegherà tra il 12 e l’11,4%.
Buona parte delle previsioni fanno naturalmente conto nella tenuta del quadro internazionale, oltre che sull’effetto del programma di riforme strutturali impostato dal Governo. Conterà la tenuta del livello di prezzi del petrolio nel triennio a venire, il livello del cambio euro/dollaro e, naturalmente, la portata effettiva del Qe in pieno corso e che potrebbe proseguire oltre il settembre 2016 se il target dell’inflazione core non tornerà vicino al 2% (mentre nelle previsioni Istat il deflattore del Pil nazionale si collocherebbe tra lo 0,8 e lo 0,9%).
A questo proposito Istat parla di incertezze e propone un esercizio sugli scenari alternativi che potrebbero determinarsi in caso di un più favorevole accesso al credito da parte di famiglie o imprese o di più sfavorevole equilibrio di cambio euro/dollaro.
Nella prima circostanza, se si ritornasse ai livelli di fiducia precrisi delle imprese, il miglior credito potrebbe rafforzare la spesa per investimenti (+0,8% quest’anno, +0,6% il prossimo e + 0,4% nel 2017) con un effetto cumulato positivo per un decimo di punto sul Pil per ogni anno di previsione. Nello scenario sfavorevole, ipotizzato con un apprezzamento del tasso di cambio euro/dollaro del 2% nel 2015 che poi resta piatto nel ’16 e ’17, si determinerebbe invece un calo di 0,2 punti del Pil quest’anno e dello 0,1% nel 2016, mentre nel 2017 l’effetto si annullerebbe. Anche il tasso di disoccupazione cambierebbe in questo caso: sarebbe peggiore di 0,1 punti percentuali in ciascun periodo del biennio 2016-2017.
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